Tipi di psicoterapia

Tipi di psicoterapia

La Psicoterapia, intesa come terapia dei disturbi e del malessere della persona di origine psichica, cura attraverso la parola e la relazione. Per raggiungere questo scopo possono essere utilizzate varie metodologie e tecniche basate su teorie diverse. 

Esiste molta disinformazione su questi argomenti ed è invece importante capire differenze e analogie tra tipi di psicoterapia

Segue la descrizione di alcuni tipi (ne esistono altri) molto usati e storici.

La Psicoanalisi Freudiana

La psicoanalisi è una delle scienze che si sono via via differenziate dal corpus generale dello studio scientifico della mente. La sua differenziazione è avvenuta a cavallo tra gli ultimi due secoli ad opera di Sigmund Freud e può essere considerata precoce e distinta rispetto ad altre scienze psicologiche. E importante distinguere tra teoria e metodo in quanto la psicoanalisi non è la teoria elaborata da Freud per curare pazienti con disturbi psichici bensì un metodo. Si può dire che Freud sta alla psicoanalisi attuale come Galileo sta alla fisica moderna.

Il metodo psicoanalitico era inizialmente inteso per esplorare alcuni eventi psicopatologici; successivamente è stato affinato e ampliato con lo scopo più generale di studiare tutti i processi che regolano il comportamento delle persone. Questi processi vengono individuati e ricostruiti attraverso la narrazione messa insieme dall’analista e dall’analizzando. L’analizzando può esperire durante l’analisi i propri processi mentali che sono sottesi agli eventi che devono essere esplorati come se essi fossero stati e fossero coscienti. Ciò è quanto viene generalmente inteso con la proposizione “rendere cosciente l’inconscio”. In realtà, tutte le scienze psicologiche studiano la mente cioè studiano l’inconscio. Quello che caratterizza la psicoanalisi è il fatto che l’inconscio viene studiato attraverso l’osservazione- traduzione che passa attraverso la partecipazione del soggetto ed il suo racconto e alla fine formulata in termini narrativi, cioè, verbali; ossia come se quei processi che si vogliono indagare fossero stati esperiti dalla coscienza del soggetto e da questi riferiti. La coscienza, che è responsabile della formulazione verbale, è usata dalla psicanalisi pur essendo questa la prima scienza psicologica che della coscienza ha riconosciuto l’ingannevolezza. La specificità della psicanalisi quindi sta nell’aver individuato una serie di procedure adatte ad usare il filtro della coscienza del soggetto e al contempo decontaminarlo dalla sua ingannevolezza e mistificatorietà. Queste procedure sono basate sulla progressiva osservazione della relazione interpersonale tra analista e analizzato; la relazione è mediata dalla loro comunicazione (Verbale, metaverbale e non verbale) ed agli effetti di cambiamento che ha sull’analizzando.

Sigmund Freud è stato il fondatore della psicoanalisi e nel 1923 ne ha dato la seguente definizione:

La psicoanalisi è:

  • Un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere
  • Un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici
  • Una serie di conoscenze psicologiche acquisite che gradualmente si armonizzano e convergono in una nuova disciplina.

Ecco alcune scoperte fondamentali della psicoanalisi:

  • L’inconsapevolezza del sistema motivazionale che determina il comportamento delle persone
  • L’inganevolezza che il soggetto può ottenere alla introspezione
  • Le libere associazioni come chiave di interpretazione dell’inconscio
  • La contiguità tra processi psichici inconsci e eventi somatici
  • La resistenza con varie forme descritta come difesa
  • I processi di trasfert e controtransfer
  • Il setting visto come laboratorio per l’indagine
  • L’importanza della relazione tra analista e analizzando, attraverso la reciproca comunicazione inconscia, come fattore di cambiamento.

Complesso di Edipo, Super Io, pulsioni: ecco alcune formulazioni psicoanalitiche molto conosciute. Si tratta di teoria, concetti, modelli e hanno un valore strumentale limitato: le teorie non sono né vere le false ma possono essere più o meno utili allo sviluppo di una scienza e spesso vengono sostituite con teorie migliori. Le scoperte restano le teorie cambiano. La teoria freudiana, che è quella più conosciuta nel vasto pubblico, è solo una di quelle utilizzate dagli psicanalisti. Un altra teoria è quella di Melanie Klein.

La teoria freudiana è detta energetico-pulsionale poiché parte dal concetto di pulsione e ipotizza una concezione energetica in cui tutto il funzionamento mentale è spiegato attraverso una dinamica e una economia di flussi energetici (Libido).

La teoria di Melanie Klein, invece, parte dal concetto di soggetto interno e di fantasia e può essere definita come una teoria semantico-rappresentazionale: i processi mentali sono descritti attraverso una complessa rete di rappresentazioni e di significati.

(modificato da Novellino, Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando, Franco Angeli/Le comete)

La psicologia analitica junghiana

SI tratta di una teoria psicologica e un metodo di indagine del profondo elaborato dall’analista svizzero Carl Gustav Jung e dagli allievi della sua scuola.

Si pensa erroneamente che la psicologia analitica di Jung sia derivata direttamente dalla psicoanalisi freudiana e che lo stesso Jung fosse allievo di Freud mentre invece Jung elaborò una propria visione dell’inconscio autonomamente da Freud.

I due collaborarono per alcuni anni ma nel 1913 si verificò una rottura mai ricomposta. In quell’anno, con la pubblicazione del libro “Libido. Simboli della Trasformazione”, Jung si distaccò da Freud sostenendo che la libido non è solamente energia sessuale, che mira a scaricarsi con il raggiungimento dell’oggetto desiderato, ma è invece l’energia psichica in toto; l’inconscio, inteso da Freud (almeno inizialmente) come mero ricettacolo del rimosso, è visto invece da Jung come una porzione della psiche che contiene altri contenuti che non sono mai stati parte della coscienza.

L’osservazione dei contenuti dei sogni, dei deliri psicotici, della mitologia e della storia delle religioni portò Jung a ipotizzare un ulteriore dimensione dell’inconscio che definì “inconscio collettivo“, i cui contenuti chiamò archetipi. Per la psicologia analitica junghiana, il processo di individuazione archetipica costituisce la finalità dell’esistenza di ogni persona.

La psicologia analitica junghiana segue nella propria indagine un metodo finalistico, il cui obiettivo è la ricerca del senso dei processi inconsci e della sofferenza psichica. Di fondamentale importanza è la teoria del simbolo, inteso da Jung come motore dello sviluppo psichico e strumento di trasformazione dell’energia psichica, originato dal confronto della coscienza con l’inconscio ed i suoi contenuti.

L’inconscio personale non è, come per Freud, il “luogo del rimosso”, cioè un contenitore psichico vuoto alla nascita, che man mano si popola di complessi causati da episodi traumatici infantili. Per Jung anzitutto l’inconscio non è “vuoto”, ma è il contenitore di forme archetipiche universali ereditarie, all’interno del quale si organizzano le esperienze individuali. Inoltre esso precede la formazione dell’Io cosciente, e contiene il progetto esistenziale dell’individuo che ne è portatore, qualcosa che fa pensare ad una sorta di codice genetico psichico.

Anche per Jung, come per Freud, l’inconscio non è direttamente osservabile ma solo attraverso l’analisi e il processo di individuazione.

Jung pensava che nel sintomo nevrotico come nel delirio psicotico affiorino immagini e idee che non sono proprie personali del paziente, ma che gli pervengono da un “fondo arcaico”, e le cui figure possono desumersi da culti, religioni e mitologie antichi appartenenti a tutti i popoli: sono gli archetipi, forme alla base dell’inconscio collettivo, condivise da tutta l’umanità, che costituiscono, nel campo psicologico, l’equivalente di ciò che in campo antropologico sono le “rappresentazioni collettive” dei primitivi, o, nel campo delle religioni comparate, le “categorie dell’immaginazione”.

La dinamica dualistica ed esclusiva tra Eros e Thanatos in cui Freud aveva individuato e confinato il motore energetico della nevrosi, in Jung si articola e si moltiplica in funzione della pluralità delle figure archetipiche che popolano l’inconscio.

Il sintomo non richiede più una spiegazione in chiave di causa-effetto, ma viene considerato esso stesso una “domanda di significato” rispetto al disagio soggettivo che esprime.

Il disturbo psichico smette così di essere considerato una malattia, e l’intervento analitico non viene più considerato solo una “cura”; ne consegue che la pratica psicologico-analitica junghiana non mira più ad una “guarigione”, ma ad individuare il senso simbolico e archetipico del disturbo, e ad aiutare il suo portatore ad utilizzarne l’energia ai fini della “trasformazione” e della propria individuazione.

Lavorare con gli archetipi richiede certamente molte conoscenze di tipo non clinico, perché richiede anche molta immaginazione e accompagnare il paziente in questa esplorazione richiede da parte del terapeuta un’attenzione non solo intellettuale, ma anche empatica. E’ quindi  evidente che, nell’analisi junghiana, la psiche del terapeuta è “messa in causa” dall’analisi non meno di quella del paziente. Da questo punto di vista, la teoria della tecnica junghiana ha prefigurato alcuni dei più recenti sviluppi della psicoanalisi intersoggettiva.

La psicoterapia  analitico-transazionale

L’analisi transazionale (AT) nasce negli anni 50 ad opera dello psichiatra Eric Berne che sviluppò un modello di personalità, di comportamento umano e di relazioni basato sull’equilibrio tra tre diversi sistemi di interpretazione e reazione: gli stati dell’Io. Si tratta di esperienze vissute in piena consapevolezza e che si formano sia in risposta ai vissuti dell’infanzia (là ed allora) che a quelli del momento presente (qui ed ora).

Berne formulò la sua teoria in modo semplice e quindi facilmente comprensibile con l’obiettivo di rendere accessibile a chiunque una lettura di se stessi e degli altri chiara, profonda e non invasiva allo stesso tempo. Differenziandosi in modo netto da Freud, secondo il quale Es e super-Io non sono osservabili direttamente ma valutabili solo dopo l’analisi dell’inconscio, Berne affermò che gli Stati dell’Io sono osservabili direttamente come comportamenti, emozioni, pensieri e modalità relazionali.

Gli altri due concetti teorici fondamentali su cui è basata la psicoterapia analitico transazionale sono i giochi e il copione. I giochi psicologici sono le comunicazioni e i comportamenti tra le persone in risposta a stimoli inconsapevoli derivanti da esperienze e decisioni infantili. Si tratta di situazioni sempre spiacevoli per i “giocatori” che pensano e agiscono senza consapevolezza sulle reali motivazioni. Il copione è il piano di vita che ciascuno di noi mette in atto in età infantile per sopravvivere, sia psicologicamente che fisicamente, alle difficoltà ambientali e relazionali.

Il metodo psicoterapeutico che deriva dal modello AT è basato sull’analisi degli Stati dell’Io (interna e nelle relazioni), dei giochi e del copione. Il metodo classico Berniano consiste nell’attivare progressivamente lo Stato dell’Io Adulto decontaminandolo dalle influenze inconsapevoli sia del Bambino che del Genitore; successivamente si passa a “deconfondere” lo Stato dell’Io Bambino portando alla coscienza sia i giochi che il copione di vita. Tali analisi partono dall’osservazione delle dinamiche tra terapeuta e paziente o tra pazienti di un gruppo.

Altri aspetti metodologici della psicoterapia analitico transazionale sono l’impostazione di tipo contrattuale e la ricerca obbligata dell’alleanza terapeutica in cui terapeuta e paziente concordano su metodi e obiettivi.

I disturbi che rispondono bene alla psicoterapia AT sono quelli dell’umore (depressione), i disturbi d’ansia (paure, fobie, attacchi di panico), i disturbi generali di personalità. Rispondono male, e sono quindi da considerarsi una controindicazione, i disturbi del pensiero (psicosi acuta) e le tossicodipendenze.

Scegliere il terapeuta

Scegliere il terapeuta

Prima del primo colloquio

I paragoni con altri tipi di scelta sono utili e inappropriati allo stesso tempo: anche nell’ambito sanitario, lo psicoterapeuta è uno specialista con caratteristiche e competenze molto diverse da un chirurgo o da un endocrinologo; lo psicoterapeuta è maestro delle abilità non tecniche, relazionali, comportamentali e la relazione con il paziente sarà esclusivamente psichica e di linguaggio.

Non è possibile fornire “linee guida” basate su evidenze mentre è utile sottolineare alcuni aspetti della scelta:

  • attenzione ai nominativi pubblicizzati soprattutto nella rete: diffidare sempre di persone che non dichiarano, in modo chiaro e controllabile, i loro titoli e le loro competenze; chiunque può acquistare e gestire un sito e nessun controllo di qualità è previsto in modo sistematico e costante
  • attenzione massima alle persone conosciute attraverso le trasmissioni televisive: essere chiamati a partecipare ad un talk show non comporta necessariamente competenza e professionalità; al contrario, gli ospiti delle trasmissioni e i così detti esperti sono reclutati mediante conoscenze e passa parola.
  • tenere in buona considerazione i terapeuti che hanno condotto con successo terapie con persone che ne sono rimaste pienamente soddisfatte
  • tenere in buona considerazione nominativi forniti da specialisti (psicologi, psichiatri) che conoscano personalmente il terapeuta
  • tenere in buona considerazione nominativi forniti dalle Scuole di Specializzazione e dalle associazioni riconosciute e qualificate.

Elementi Ok di un terapeuta

  • Laurea in Medicina e Chirurgia o in Psicologia
  • Iscrizione all’Ordine dei Medici o degli Psicologi
  • Svolge colloqui di orientamento (2 o 3) prima di prendere “posizione”
  • Informa il paziente in modo chiaro su quello che è meglio per lui (psicoterapia, farmaci, entrambi)
  • Imposta il rapporto in modo discreto e professionale
  • Informa il paziente in modo chiaro sui termini e le modalità dell’impegno da parte sua

Naturalmente, questi non devono essere considerati elementi che, se presenti, garantiscono il risultato ! Nessuno può garantire il risultato perchè anche il terapeuta più competente e esperto non potrà nulla in assenza di lavoro attivo del paziente (cosa non prevedibile all’inizio)

Elementi NON Ok di un terapeuta

  • fornisce risposte evasive e vaghe alle richieste sulla natura dei problemi e sui risultati che ci si possono aspettare, come se il terapeuta non volesse impegnarsi nè compromettersi
  • è eccessivamente sicuro e deciso sui risultati con guarigione scontata e sicura
  • è eccessivamente confidenziale (passa al “tu” facilmente) e assume un ruolo di “amicone” di cui ci si può sicuramente fidare
  • fa il nome di altri pazienti
  • fa capire o dice che la relazione avrà delle appendici extra-seduta:  “….magari una sera ci mangiamo una pizza insieme…..”
  • svaluta e critica altri colleghi o altri tipi di psicoterapia: il professionista serio non giudica senza conoscere in prima persona e rispetta il lavoro degli altri
Posizioni esistenziali

Posizioni esistenziali

Come ci poniamo rispetto alla vita ? Come vediamo noi stessi e come vediamo la nostra esistenza ? Come vediamo noi stessi rispetto agli altri ? Come vediamo l’esistenza e la vita degli altri ?

Per cercare di rispondere a queste domande e avere dei modelli semplici con cui le persone e i comportamenti si possano classificare e quindi capire, l’analisi transazionale individua quattro possibili posizioni esistenziali ” che le persone attivano nella vita.

La decisione di assumere una determinata posizione è presa in epoca antica, nella nostra prima infanzia in risposta agli stimoli ambientali che riceviamo. I genitori e tutte le altre figure di attaccamento determinano la soddisfazione o insoddisfazione dei nostri bisogni e su queste basi prendiamo decisioni sul nostro valore, sul valore degli altri e sulla vita in genere e scegliamo quale copione recitare sul palcoscenico della nostra vita presente e futura.

Le “posizioni esistenziali” descrivono come una persona vede sé e gli altri e influenzano di conseguenza il modo secondo il quale ciascun individuo pensa, agisce ed entra in rapporto con l’altro.

La relazione ha due poli: l’individuo e l’altro, che può essere sia una persona che una situazione, e ciascuno dei due poli può essere vissuto come positivo o negativo.

Io sono OK – Tu sei OK  (Sano e costruttivo)

E’ la posizione nei confronti della vita positiva, ottimista,  concreta e “problem solving”. L’altro è una risorsa che viene accettata e con cui si può collaborare. Non scarico sull’altro le responsabilità o, al contrario, non colpevolizzo me stesso per ciò che non è andato a buon fine.

Ci si sente uguale nella differenza: io sono ok come te, pur essendo diverso da te che sei ok. C’è un atteggiamento di ascolto autentico per capire il punto di vista dell’altro e integrare su questo aspetto più approcci differenti necessari alla ricerca in comune di una soluzione.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • non giudicano e accettano gli altri
  • hanno una buona autostima
  • sono assertivite e fiduciose
  • ascoltano e comunicano in modo diretto, chiaro, spontaneo
  • hanno aspettative realistiche da sé e dagli altri
  • sono flessibili
  • sono comprensive, tolleranti, disponibili
  • non nascondono le emozioni
  • sono ottimiste e tendono a risolvere il problemi

Io sono OK – Tu non sei OK (Paranoide o Proiettivo)

Svaluto l’altro e  supervaluto me stesso: la persona si relaziona attraverso il dominio el’esibizione di sé con un comportamento aggressivo, rifiutante e accusatorio. E’ tutta colpa degli altri e le responsabilità personali non esistono. In realtà si sentono vittime e perseguitate e per difendersi da questa idea vittimizzano e accusano gli altri. Spesso si sentono imbrogliate, odiano e incolpano gli altri per le proprie disgrazie, negando di avere un problema personale.

Se ascoltano, lo fanno solo per capire le differenze con i punti di vista dell’altro e per scoprire la falla altrui in modo da poter imporre il loro modo di vedere le cose.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • sono giudicanti e accusatorie, rigide e estremiste
  • sono impazienti, competitive, invadenti, prevaricanti, aggressive, autoritarie
  • hanno grande stima di sé e non riconoscono i diritti altrui
  • hanno bisogno di relazionarsi con persone remissive, fragili e con bassa autostima

Io non sono OK – Tu sei OK (Depressiva)

Svaluto me stesso e  supervaluto l’altro ritenuto più forte e più potente. Dipendono dagli altri e sono inadeguate e incapaci di affrontare le situazioni.

A poco a poco il soggetto si ritira dalla relazione con gli altri, cade nella depressione e ritiene che la sua vita non valga molto. Se ascoltano è solo per compiacere.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • hanno scarsa autostima con atteggiamenti vittimistici e perdenti
  • non accettano complimenti o sollecitazioni positive
  • si sentono a disagio nelle relazioni
  • sono depresse, ansiose, autocritiche, sottomesse, scusanti, timorose, timide, silenziose, appartate

Io Non sono OK – Tu non sei OK  (Inutilità)

Svaluto me stesso e  l’altro. “Non si può fare niente”. Rassegnazione e depressione.

Percepite come disinteressate verso gli altri, chiuse, negative e pessimiste.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • hanno scarsa autostima
  • sono depresse e senza speranze, rassegnate all’infelicità
  • sentono che tutto è inutile
  • non assumono iniziative, scaricano problemi e difficoltà

Ogni persona ha una posizione esistenziale “preferita” e che sente sua sulla base di antiche decisioni di sopravvivenza; tuttavia è possibile che la stessa persona assuma posizioni diverse sulla base degli stimoli ambientali e dei momenti di vita. Inoltre, anche la posizione che preferiamo, e che probabilmente usiamo più spesso o sempre, può essere rivista sulla base di nuove esperienze, di nuove consapevolezze e di nuove relazioni.

Patologia degli stati dell’io

Patologia degli stati dell’io

Una persona si comporta in modo sano quando è in grado di utilizzare tutti gli Stati dell’Io in modo appropriato e conveniente alla situazione ambientale del momento

Valutazione degli Stati dell’Io

Berne osservò che i tre Stati dell’Io hanno quattro caratteristiche:

1) potere esecutivo, cioè il potere che hanno di assumere il controllo dell’attività neuromuscolare di una persona;

2) adattabilità, cioè la capacità di rispondere a stimoli social attraverso il comportamento;

3)  fluidità biologica, cioè la capacità di cambiare ed evolversi;

4) intelligibilità, per cui ogni individuo può dire in quale Stato dell’Io si trovi in un dato momento.

Attraverso queste proprietà è possibile capire gli Stati dell’Io sia in se stessi che negli altri in quattro ambiti: comportamentale, sociale, storica e fenomenologica; quando tutte e quattro convergono su uno stesso Stato la diagnosi è la più certa.

Comportamentale: consiste nell’osservazione del comportamento di una persona, del tono di voce, della postura, dei gesti dei discorsi etc.

Sociale: consiste nell’osservazione dello stato dell’Io suscitato negli altri, la diagnosi si fa osservando il genere di transazioni che una persona ha con gli altri.

Storica: consiste nell’investigare la storia passata del paziente, per vedere se la persona reagisce come reagiva da bambino (probabile stato dell’Io bambino) oppure se reagisce come i suoi genitori facevano allora (probabile stato dell’Io genitore).

Fenomenologica: consiste nel rivivere il momento in cui una data esperienza di uno stato dell’Io venne provata originariamente.

Patologia degli Stati dell’Io

Una persona si comporta in modo sano quando è capace di energizzare uno stato dell’Io a sua scelta e più adatto alla situazione ed è capace di valutare la realtà dal punto di vista Adulto senza che i pregiudizi del Genitore o le paure del Bambino non diventino informazioni per questo.

Si parla di patologia dello stato dell’Io quando i confini dell’Adulto di una persona crollano ed esso è contaminato o dal Bambino o dal Genitore o da entrambi. Emerge la contaminazione del Bambino attraverso fobie, superstizioni, fissazioni per cui l’individuo usa vecchi vissuti per una inappropriata valutazione del qui e ora. Mentre siamo di fronte ad una contaminazione del Genitore quando l’individuo usa come dati di fatto pregiudizi e motti genitoriali. L’ Adulto può essere contaminato contemporaneamente sia dal Genitore che dal Bambino: quando i messaggi genitoriali sono potenti possono risvegliare nel Bambino forti emozioni e entrambi possono contaminare l’Adulto.

Esclusioni: un’altra patologia è presente quando uno o due Stati dell’Io dominano il comportamento di un individuo. Lo stato dell’Io dominante si chiama costante o escludente mentre lo stato dell’Io che non è usato si dice escluso. Nessuna esclusione però è totale, anche uno stato dell’Io escluso contiene energia legata, e così continua a rispondere in qualche modo agli stimoli esterni. A seconda dell’esclusione si hanno caratteristiche diverse della persona: quando il G è escluso la persona non si prende cura degli altri, quando è escluso l’A la persona è in una situazione cronica di turbolenza, quando è escluso il B la persona manca di spontaneità e allo stesso tempo di dispiacere profondo. Le persone fredde, molto razionali hanno un A esclusore, la persona che invece vive solo secondo norme e principi, ha un G esclusore infine in chi vive secondo l’impulso del momento ha il B l’esclusore.

La relazione terapeutica

La relazione terapeutica

Il contratto tra psicoterapeuta e paziente

Parlare di contratto in una relazione d’aiuto come quella tra psicoterapeuta e paziente potrebbe facilmente causare malessere e rimandare ad ambiti completamente diversi e a circostanze amministrative e/o burocratiche. Questo malessere è importante che sia superato perchè il contratto in psicoterapia è uno strumento indispensabile per proteggere entrambe le parti e permette di capire punti chiave dell’argomento.

Il terapeuta riceve la fiducia del paziente e ha la grande responsabilità di gestire tale fiducia soprattutto gestendo il potere che gli viene conferito da tale fiducia e dalla inevitabile dipendenza da lui. Il paziente affiderà al terapeuta la sua intimità, la sua insicurezza, i suoi segreti e suoi pensieri incoffessabili. E’ un potere e una dipendenza che ricordano il rapporto tra genitore e figlio e, come un buon genitore, il terapeuta ha bisogno delle seguenti caratteristiche:

  • non dovrà essere dipendente dal figlio/paziente perchè in possesso di una sua vita affettiva e sociale che gli permette di soddisfare i suoi bisogni indipendentemente dal figlio; ad esempio non investirà sul paziente in termini di aspettative e bisogni. Il terapeuta, come un buon genitore, si occupa della crescita emotiva del suo paziente e ha come obiettivo primario l’indipendenza del paziente.
  • è affettuoso e normativo in modo bilanciato e proporzionato ai bisogni e alle circostanze; fornisce atteggiamenti supportivi e affettivi ma limita e pone confini nel caso che il paziente/figlio travalichi o ignori i limiti posti dalla realtà. Nell’ambito della relazione terapeutica, quindi, il limite è costituito proprio dal fatto che non si tratta di un genitore “reale” ma di una metafora del genitore; i limiti vengono quindi forniti dalla natura professionale del contratto.

Il rispetto dei limiti del contratto è un punto indispensabile e primario.

Un contratto prevede un accordo esplicito e verbalizzato sugli obiettivi della relazione terapeutica: terapeuta e paziente concordano sulla necessità e sull’utilità di intervenire su problemi emotivi e relazionali utilizzando la competenza professionale del terapeuta.

Il contratto non presuppone, però, che la relazione terapeuta-paziente sia “alla pari” poichè dei due è il terapeuta ad avere capacità di valutazione e a decidere cosa sia meglio per il paziente. Una metafora consente di capire meglio questo concetto:

“la terapia è come una barca su cui terapeuta e paziente navigano insieme; entrambi possono decidere e concordare dove andare e quali mari esplorare ma solo il terapeuta, soprattutto all’inizio, è in grado di governare la barca e di evitare pericoli e incognite perchè conosce gli strumenti della barca, il meteo e i mari dove si può navigare; il paziente imparerà, aiutato dal terapeuta, a governare fino al punto di essere in grado di andare da solo” 

Come funziona la psicoterapia ?

Alcuni punti devono essere chiari per il paziente e devono essere spiegati dal terapeuta prima di iniziare qualsiasi percorso:

  • La psicoterapia è basata sulla collaborazione tra due persone e non produce effetti se non con la partecipazione attiva del paziente.
  • Il lavoro consiste nella esplorazione delle componenti razionali ed emotive della personalità del paziente
  • La durata non è prevedibile in modo preciso ma solo approssimativamente
  • Il lavoro ha un costo di cui il paziente deve farsi carico preferibilmente personalmente
  • Come tutti gli interventi medici, il terapeuta ha l’obbligo della confidenzialità e riservatezza (segreto professionale)

Professionalità e deontologia del terapeuta

La competenza professionale del terapeuta è quella che consente di aiutare il paziente a risolvere i propri blocchi, i propri malfunzionamenti e i propri conflitti in modi che egli possa aumentare le possibilità di benessere, equilibrio e felicità; è quella che consente di capire l’altro aiutandolo a intervenire sui problemi per i quali ha chiesto aiuto.

La deontologia è quella di rimanere nei limiti professionali del rapporto, limiti che possono essere messi a rischio dall’intimità psichica e dai sentimenti di dipendenza e affetto. Una grande psichiatra e psicoterapeuta (Silvia Daini) diceva che nella stessa della terapia qualsiasi cosa era consentita fatti salvi i contatti fisici, amorosi o aggressivi che fossero.

Che cosa da lo psicoterapeuta ?

  • Fornisce informazioni chiare e dirette sui suoi titoli, sul tipo di psicoterapia che intende svolgere, sui costi e, in modo approssimativo, sulla durata della relazione.
  • Garantisce riservatezza assoluta
  • Informa il paziente sui fini e sulle possibilità di successo della terapia eliminando qualsiasi aspettativa miracolosa o magica di “guarigioni” rapide e definitive.
  • Offre uno o due colloqui orientativi prima di formulare ipotesi diagnostiche e progetti terapeutici.
 Che cosa da il paziente ?

Senza un atteggiamento attivo del paziente la terapia è destinata al fallimento. Quindi al paziente deve essere chiaro fin dall’inizio che:

  • dovrà mettersi in gioco ed essere disponibile a lavorare su se stesso
  • non esistono effetti immediati e miracolosi come quelli dei farmaci; per conoscersi e per conoscere i motivi veri del proprio malessere occorre tempo.
  • dovrà investire risorse sia in termini di tempo (non meno di 1 seduta a settimana) che di denaro
I giochi e il copione

I giochi e il copione

Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti, uomini e donne non sono che attori. Hanno le loro entrate e le loro uscite; ciascuno nella sua vita recita diverse parti. (William Shakespeare)

I giochi psicologici

games people play

Eric Berne definisce così il gioco: “Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”. Tradotto in parole ancora più semplici: Il gioco è un tipo di relazione interpersonale “disturbata”, che procura stati d’animo spiacevoli. Questa comunicazione “disturbata” non è volontaria e le persone coinvolte non ne hanno consapevolezza: per questo motivo lo stesso gioco tenderà a ripetersi più volte.

Perché le persone giocano? Quali sono i motivi per i quali si utilizza un modo relazionale di questo tipo? Si tratta del persistere di aspetti infantili (esperienze, decisioni di sopravvivenza) che permangono nell’adulto e che condizionano i comportamenti e le emozioni senza che se ne abbia coscienza.

Il copione di vita

a che gioco giochiamo

I nostri aspetti infantili ci portano ad organizzare un programma, un piano di vita in cui noi e gli altri hanno dei ruoli fissi compatibili con delle decisioni di sopravvivenza prese in epoche arcaiche. Come in tutte le storie, la storia della nostra vita ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, le sue eroine, i suoi cattivi, i suoi protagonisti e le sue comparse. Ha il suo tema principale e i suoi intrecci secondari. Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte d’ispirazione o banale.Il problema consiste nel fatto che gli inizi del nostro copione sono al di fuori della portata della nostra memoria cosciente.

In “Principi di terapia di gruppo” Berne ha definito il copione «un piano di vita inconscio». Successivamente in “Ciao!… E poi ?” ne ha dato una definizione più completa: «Un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva».

Psicoterapia : domande, risposte e pregiudizi

Psicoterapia : domande, risposte e pregiudizi

Da cosa derivano le difficoltà di orientamento e comprensione su argomenti che riguardano la salute mentale ?

Michele Novellino, mio maestro e supervisore, sentì il bisogno, quasi 20 anni fa, di pubblicare un volume dal titolo “Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando”, una vera e propria guida/bussola per orientarsi nel mondo che inizia con “psi”. Cito testualmente un brano tratto dal capitolo 1, quello introduttivo:

“un pomeriggio mi trovo ricevere una coppia di genitori che accompagnano il figlioletto di una decina d’anni. I due sono preoccupati per alcuni comportamenti del figlio; la visita mi dimostra ben presto che si tratta di una situazione di ansia dovuta a una difficoltà della coppia a trovare un’armonia più generale, e questo anche nell’educazione del figlio. Stranamente ma non troppo il primo spunto circa l’assoluta normalità del figlio mi viene proprio da un riferimento di quest’ultimo alla mia presenza. Dopo pochi minuti, il ragazzino mi chiede con tono diretto e lievemente risentito: “ma tu sei uno strizzacervelli ?”, Rispondo di sì, e di rimando chiedo come l’avesse compreso (Il lettore avrà intuito che i genitori avevano raccontato che ero un amico); la risposta arriva pronta: “ho visto uno che faceva le tue stesse domande,nella puntata di …..”(e nomina un certo telefilm di gran successo tra i giovani).”

Questo episodio mette in luce che la psicoterapia, scienza e professione giovane rispetto ad altre più antiche, risente molto dell’immagine che è stata prodotta attraverso i moderni canali di comunicazione e conoscenza come ad esempio giornali televisione e rete. Purtroppo il risultato è che spesso vengono mescolati nella stessa pentola professionisti seri e venditori di fumo, scienziati di vecchia data e ipnotizzatori da baraccone. Questo ha causato un’immagine assolutamente approssimativa di una professione che richiede competenza ed etica e di cui le persone hanno un gran bisogno

Psicoanalisi e psicoterapia sono la stessa cosa ?

SIgmund Freud, medico, neurologo e psicanalista, ideatore e fondatore della psicoanalisi, aprì la strada alla moderna psicologia e all’idea che corpo e mente sono intimamente legati, si condizionano a vicenda, e hanno delle parti di cui non si ha consapevolezza, cioè incoscienti.

Come sostiene Michele Novellino, senza di lui non esisterebbe la moderna psicologia e psichiatria e noi (psicoterapeuti, psicologi, psichiatri) non saremmo qui.

Ma molto tempo è passato e molte delle idee di Freud non si sono dimostrate corrette e reali, cosa facilmente comprensibile considerando i tempi che viveva.

Ma ancora oggi le parole che iniziano con “psi” portano molte persone a pensare a Freud e alla psicoanalisi, concetti spesso associati all’idea di malattia mentale, di follia.

La psicoanalisi è tuttora una disciplina psicoterapeutica praticata e diffusa e è una piccola fetta dell’ampia offerta di trattamenti psicoterapici disponibili. Quindi: psicoterapia e psicoanalisi non sono sinonimi.

Psicoterapia: CURA DELLE CONDIZIONI DI DISAGIO EMOTIVO E RELAZIONALE ATTRAVERSO UNA RELAZIONE D’AIUTO “GUIDATA” DA UN PROFESSIONISTA ABILITATO (modificato da Novellino, Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando, Franco Angeli/Le comete)

Psicoanalisi: un procedimento per l’indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe impossibile accedere; un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici. Si tratta in pratica di rendere cosciente l’inconscio con un’analisi, guidata dall’analista, con cui è possibile dare significato a quanto regola la condotta e il comportamento dell’uomo.

Che differenza c’è tra psicologi, psichiatri e psicoterapeuti ?

Psicologia, psicoterapia, psichiatria….parole usate spesso in modo indiscriminato e interscambiabile: sono la stessa cosa ?

La psichiatria è una branca specialistica della medicina che si occupa dei disturbi mentali e del  mantenimento e il perseguimento della salute mentale; ciò viene ottenuto con strumenti medico-farmacologici, neurologici, psicologici, sociologici, giuridici, politici. La psichiatria è sovente maggiormente orientata verso l’identificazione del disturbo mentale o psicologico come derivante da un funzionamento anomalo a livello fisiologico del sistema nervoso centrale seguendo una prassi od ottica strettamente scientifico-materialista.

Gli psichiatri sono medici (specialisti in psichiatria, appunto !) possono prescrivere farmaci e praticare la psicoterapia cui sono abilitati “d’ufficio” dalla specializzazione.  Questa abilitazione “di ufficio” solleva dubbi e merita qualche considerazione. Esaminando i piani didattici delle scuole di specializzazione in psichiatria appare evidente che pochi crediti formativi sono dedicati alle tecniche di psicoterapia nel corso dei cinque anni di durata della scuola. (ad esempio 40-50 crediti su un totale di 300 crediti nei cinque anni); ci si può chiedere cioè a cosa servono quattro anni di di specializzazione in psicoterapia se gli psichiatri acquisiscono le competenze di psicoterapeuta in meno di un anno.

La psicoterapia è definibile come la terapia dei disturbi psichici basata sulla parola e sulla relazione tra terapeuta e paziente/cliente. E’ una specializzazione cui possono accedere sia i medici che gli psicologi; quindi, uno psicoterapeuta può essere un medico o uno psicologo. I medici psicoterapeuti possono prescrivere farmaci, gli psicologi psicoterapeuti no.

La psicologia è la disciplina che studia i processi psichici, mentali e cognitivi nelle loro componenti consce e inconsce. E’ una laurea quinquennale che conferisce, appunto, il titolo di psicologo.

Secondo l’articolo 1 della legge 56/89, La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Quindi, per legge, lo psicologo può fare: prevenzione, diagnosi, abilitazione-riabilitazione, sostegno, sperimentazione, ricerca, didattica sia rivolte al singolo, al gruppo, fino alla comunità intera.

Lo psicologo, privo della specializzazione in psicoterapia, non è abilitato alla psicoterapia.

Psicoterapeuta: chi può definirsi tale ?

Psicoterapeuta è chi, in possesso della iscrizione all’albo dei medici o degli psicologi ha conseguito il diploma di specializzazione quadriennale in psicoterapia. Oltre a questa definizione formale e istituzionale possiamo proporre una definizione più strettamente professionale e di competenze: psicoterapeuta è chi si dedica al trattamento, alla cura, alla presente carico di persone che soffrono di disturbi, conflitti, problematiche di natura psicologica. L’oggetto del suo lavoro è la mente ed è oggettivamente molto difficile definire un territorio di intervento: non c’è un organo su cui si accentri l’attenzione dello psicoterapeuta mentre egli interviene sul comportamento, sui vissuti, sulle fantasie, in altri termini su quello che viene chiamato” il mondo interiore” dell’uomo.

Gli psicoterapeuti cercano di aiutare le persone a capire come hanno organizzato il loro mondo interiore; per far questo essi hanno bisogno di una buona conoscenza che padronanza di loro stessi: non si può aiutare a conoscere se non si è passati attraverso l’autoconoscenza

Psicoanalista: chi può definirsi tale ?

Si tratta di un termine abusato ed equivocato sia in buona che cattiva fede: psicoanalista non è chiunque si occupi della psiche, bensì colui o colei specializzato nell’applicazione del metodo psicanalitico costruito da Freud e che è iscritto a qualcuna delle associazioni psicoanalitiche riconosciute dai movimenti internazionali legati a Freud. In Italia esistono due associazioni riconosciute: la storica Società Psicoanalitica Italiana (http://www.spiweb.ite l’Associazione Italiana di Psicoanalisi (http://www.aipsi.it) Vengono considerati psicoanalisti anche gli affiliati al movimento junghiano, anche se quest’ultimo si rifà ad una teoria definita da Jung stesso come “psicologia analitica” proprio per differenziarla dalla psicoanalisi freudiana.

In cosa consiste la psicoterapia ?

La psicoterapia consiste nella cura delle condizioni di forte disagio emotivo e relazionale; la cura avviene attraverso una relazione d’aiuto guidata secondo scienza e coscienza da un professionista abilitato.

Da questa definizione nasce il bisogno di analizzare in dettaglio alcune parole e frasi.

Cura: la psicoterapia, pur non utilizzando farmaci e trattamenti invasivi, è un intervento di natura medica, il che non vuole dire che deve essere effettuata necessariamente da laureati in medicina e chirurgia. Significa che i professionisti che svolgono la psicoterapia, medici o psicologi che siano, hanno le stesse responsabilità di un medico che prescrive farmaci e fa diagnosi. Il che equivale a dire che l’utente è un paziente a tutti gli effetti: vuole essere aiutato perché il suo stato di salute è alterato. Quindi lo psicoterapeuta, anche se non è un medico come titolo, ha le stesse responsabilità e le stesse funzioni di un medico specialista, ossia quelle di aiutare i pazienti che si rivolgono a lui per recuperare il proprio stato di salute.

Relazione d’aiuto guidata secondo scienza e coscienza: lo psicoterapeuta offre la possibilità di affrontare i propri problemi in quanto è fornito della competenza specifica acquisita durante la specializzazione in cui ha maturato sia gli aspetti tecnici che quelli deontologici della sua professione.

Disagio emotivo e relazionale: la psicoterapia interviene in due grandi categorie di situazioni. Nella prima il paziente soffre di emozioni spiacevoli che determinano un senso di infelicità e ne limitano i comportamenti. Tali stati emotivi spesso sono cronici, incontrollabili e rendono difficili le normali interazioni con l’ambiente circostante. In genere i pazienti non riescono a dare un senso a tali stati e arrivano alla sensazione di essere totalmente incapaci di affrontare da soli le situazioni. Nella seconda condizione l’individuo accusa persistenti e ripetitive situazioni relazionali insoddisfacenti e limitative: solitudine, tendenza agli abbandoni, emarginazione, difficoltà ad accettare rapporti ineliminabili (figli, figure autoritarie).

Professionista abilitato: la psicoterapia è una professione a tutti gli effetti; allo stesso tempo per poter esercitare sono senza dubbio indispensabili alcuni aspetti umani particolari come interesse per gli altri, desiderio di aiutare, curiosità per l’animo umano. Queste doti devono essere affinate e sostanziate da capacità tecniche attraverso la specializzazione e attraverso il tirocinio pratico. Nelle doti umane che abbiamo ricordato si inseriscono problematiche personali che devono essere coscienti e devono essere controllate: chi vuole aiutare gli altri a conoscersi deve prima di tutto conoscere se stesso e le motivazioni che lo hanno portato ad aiutare gli altri. Per un medico o per un avvocato non è sempre necessario sapere le motivazioni profonde che lo spingono a svolgere una professione di tipo umanitario: ad esempio un chirurgo può essere un ottimo operatore anche senza conoscere i propri impulsi sadici o aggressivi, anzi molto spesso è meglio che non lo sappia ! Lo psicoterapeuta utilizza se stesso per aiutare gli altri: quindi lo strumento della relazione d’aiuto è la mente del terapeuta e quindi si deve conoscere bene cosa accade dentro se stessi per saper guidare l’altro. Essere abilitati significa aver imparato la disciplina fino al punto che gli insegnanti e i tutor ritengono sufficiente. I corsi di specializzazione devono essere completati fino alla certificazione finale che non è una garanzia in assoluto ma fornisce un criterio sulla disponibilità del professionista a svolgere quanto viene dichiarato necessario da colleghi più esperti affinché possa affrontare i problemi del paziente con serietà, competenza e deontologia.

Come diveniamo noi stessi

Come diveniamo noi stessi

Capire come diventiamo noi stessi è molto più facile di quanto comunemente si pensi; per conoscersi meglio non è obbligatorio andare nel profondo

Gli Stati dell’Io ovvero come diventiamo noi stessi….

Per poter conoscere come diventiamo noi stessi, quello che siamo e quello che pensiamo occorre rifarsi ad una teoria della personalità.

In che modo gli esseri umani costruiscono la loro personalità ? A questa domanda la psicologia e la psicanalisi cercano di rispondere da più di 100 anni. Nella speranza che in un futuro non troppo lontano si arrivi a un modello unificato del carattere e della personalità umana, abbiamo oggi a disposizione numerose teorie. Una di queste, l’Analisi Transazionale, fondata da Eric Berne negli anni 50, consente una comprensione facile dello sviluppo della personalità.

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1 – Il bambino assorbe i modi di essere, di parlare, di pensare, di agire di concepire il mondo che desume da come vede mettersi in relazione tra loro e con lui gli adulti che fanno parte dell’ambiente. Cioè introietta, fa proprio, assimila, l’ambiente familiare nel quale vive, con i suoi modi di pensare e di agire che diventano dei principi, delle regole che influenzeranno la sua personalità completa di reparto. L’ introiezione dei modi di pensare e di agire degli adulti presenti nel suo ambiente  determina  lo stato  dell’Io Genitore.

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2 – il progressivo formarsi nella mente del bambino di tutta una serie di esperienze legate al contatto diretto con la realtà determina lo stato dell’Io Adulto. La realtà viene sperimentata e affrontata in modo diretto e responsabilizzato quando si guarda, si giudica e si sente il mondo con i propri occhi e le proprie orecchie. Lo stato dell’Io Adulto è in grado di alterare le regole culturali e familiari incluse nello stato dell’Io Genitore. Lo stato dell’Io Adulto inizia a formarsi già durante i primi mesi di vita quando il bambino attraverso la sperimentazione dei sensi, del linguaggio e con l’aiuto del gioco comincia a trarre le conclusioni e a sentirsi un’entità autonoma capace di pensare e di decidere.

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3 – anche dopo il raggiungimento dell’età adulta permangono dei modi di pensare, di reagire e di scegliere che sono tipici dell’infanzia che costituiscono lo stato dell’Io Bambino;  un adulto, in genere responsabile di tutto quello che trova, può divenire di nuovo incapace di reagire di fronte ad superiore che gli urla contro e ritorna a comportarsi come quando da bambino si sentiva inerme e indifeso di fronte ai rimproveri del padre arrabbiato per qualche sua marachella. Ancora, l’essere umano adulto si comporta come un bambino quando si diverte, gioca e da sfogo a bisogni semplici come il sesso o il cibo.

Al momento della nascita l’essere umano viene proiettato in un ambiente interpersonale che lo accompagnerà durante tutto lo sviluppo psicofisico. I genitori, o chi per loro, costituiscono il filtro continuo per tutte le esperienze di contatto con il mondo interno ed esterno. Se il bambino ha fame piange in quanto reagisce e segnala uno stato di malessere interno: quello che succederà in risposta al suo pianto sarà determinante per le loro esperienze. Possiamo affermare con certezza che fin dall’inizio della sviluppo l’evoluzione della personalità dipende da due fenomeni fondamentalil’ambiente interpersonale nel quale nasce e cresce il bambino; l’innata capacità del bambino di reagire e di adattarsi alle condizioni in cui si trova. L’analisi transazionale mette a fuoco la sua visione dello sviluppo della personalità proprio partendo da queste due polarità: il bambino e l’ambiente che lo circonda che include i genitori o le figure genitoriali che eventualmente li sostituiscono, i cosiddetti “care givers”.

come si forma la personalità

Quindi la personalità si costruisce attraverso l’elaborazione attiva da parte del bambino che realizza delle esperienze interpersonali che l’ambiente che lo circonda gli propone. L’interazione con i genitori o con i loro sostituti è indispensabile per interiorizzare le norme e modelli di comportamento. In ogni caso la personalità si compone di tre dimensioni principali: Stati dell’Io Genitore, Adulto e Bambino; il diverso equilibrio tra gli Stati dell’Io, sia nel nostro interno che nelle relazioni, porta a diversi comportamenti e atteggiamenti che sono caratteristici della personalità di un individuo adulto.

L’influenza delle parti antiche della personalità (Genitore e Bambino) sulle decisioni coscienti della persona rimane al di fuori della percezione cioè ognuno di noi non si rende conto di decidere ciò che in realtà esprime, norme introiettate dei genitori oppure paure o illusioni del bambino.

Nel 1957 Eric Berne, nell’articolo “Ego states in psychoterapy”, menziona per la prima volta i tre Stati dell’Io e usa il diagramma con i tre cerchi che li circoscrivono. Berne descrive uno Stato dell’Io fenomenologicamente come un sistema coerente di sentimenti riferiti a un determinato soggetto, operativamente come un insieme coerente di modelli di comportamento, e pragmaticamente come un sistema di sentimenti che motivano il corrispondente insieme di modelli di comportamento. I tre Stati dell’Io  di base di una persona possono essere rappresentati con il diagramma della personalità.

Capire le comunicazioni

Capire le comunicazioni

La comunicazione con un altra persona comporta sempre l’energizzazione di Stati dell’Io degli interlocutori: saper leggere gli Stati dell’Io è quindi un potente strumento per decifrare le transazioni tra esseri umani

Le transazioni, cioè capire quali Stati dell’Io utilizziamo quando comunichiamo

stimolo & risposta

Per transazione si intende l’unità, l’elemento minimo della comunicazione tra le persone; è lo scambio minimo stimolo-risposta tra due Stati dell’Io specifici.  Le transazioni possono essere semplici, quando coinvolgono solo due Stati dell’Io, o complesse, quando ne coinvolgono tre o quattro. Le transazioni vengono rappresentate con i tre cerchi rappresentanti gli Stati dell’Io dell’interlocutore numero 1 e tre cerchi rappresentati dagli Stati dell’Io dell’interlocutore numero 2. Ogni emi-transazione, cioè solo l’unità stimolo, viene rappresentata da un vettore, la linea della comunicazione; se sono presenti due livelli, sociale e psicologico, nella transazione, il vettore del livello psicologico sarà rappresentato con linea tratteggiata.

transazioni

Transazioni complementari: sono coinvolti solo due Stati dell’Io, la risposta deriva dallo stesso stato dell’Io a cui lo stimolo è stato diretto e la risposta torna allo stesso Stato dell’Io che ha fatto partire lo stimolo. Finché una transazione rimane complementare, la comunicazione può proseguire per un tempo indefinito (prima regola della comunicazione).

Transazioni incrociate:  lo Stato dell’Io che risponde è diverso

da quello che è stato sollecitato, le linee della comunicazione

transazioni

non sono parallele. Quando una transazione è incrociata, nella comunicazione avviene una frattura, talvolta solo transitoria, ed è probabile che faccia seguito qualcosa di diverso (seconda regola della comunicazione).

transazioni incrociate

Transazioni ulteriori:  qui sono coinvolti tre  o più Stati dell’Io in quanto il verbale e il non verbale non sono congrui, cioè esiste nel messaggio un livello sociale, manifesto e un livello psicologico “segreto”. Questi tipi di transazioni possono essere angolari, quando sono coinvolti tre Stati dell’Io e i messaggi sono inviati simultaneamente da uno Stato dell’Io di colui che da l’avvio alla transazione a due Stati di colui che la riceve, o duplici quando sono coinvolti quattro Stati dell’Io, due in ogni persona. L’esito delle transazioni sarà determinato a livello psicologico, piuttosto che a livello sociale (terza regola della comunicazione).

transazioni

Cambiare è possibile

Cambiare è possibile

“[…] il terapeuta non guarisce nessuno. Egli però può aiutare la persona a rimettere in moto il proprio potenziale auto-curativo “

(Eric Berne 1966)

La teoria dell’AT è basata su un modello decisionale: i comportamenti non OK denotano strategie che conducono verso comportamenti psicopatologici disfunzionali. Queste strategie di vita vengono decise e intraprese fin da bambini. Ogni bambino apprende comportamenti specifici e decide per sé un piano di vita (il copione) che lo guiderà dall’infanzia fino all’età adulta. Seppure ogni bambino abbia capacità cognitive ed emotive limitate, così come un esame di realtà ridotto, e sebbene le sue decisioni siano influenzate dai genitori e dall’ambiente in cui egli vive, le decisioni e le strategie di copione rappresentano la modalità peculiare con cui quel bambino, e solo quello, ha creduto fosse possibile sopravvivere e ottenere quanto desiderava da un mondo che poteva sembrare, o che invece era davvero, ostile.

Il copione deciso nell’infanzia comporta una serie di modelli di comportamento che arrivano fino all’età adulta. Gli individui seguono tali modelli anche se gli stessi risultano essere controproducenti e persino dolorosi. Per tale ragione, da adulti è possibile imparare a leggere e conoscere tali decisioni prese nell’infanzia e sostituirle, ovvero cambiarle, con altre più adeguate.

Poichè ogni bambino ha deciso da sé il proprio piano di vita, egli ha il potere di cambiarlo, in qualsiasi momento e tanto più da adulto.

Per ottenere questo cambiamento non è sufficiente essere consapevoli di schemi e modelli di comportamento e quindi del copione di vita; è necessaria la decisione attiva e consapevole di cambiare questi schemi. Solo in questo modo, il cambiamento può essere reale e duraturo.

Il termine cambiamento è legato a quello di guarigione. Berne nel 1966 scriveva:

“[…] il terapeuta non guarisce nessuno. Egli però può aiutare la persona a rimettere in moto il proprio potenziale auto-curativo“. La così detta vis medicatrix naturae.

Egli utilizza la metafora dei “ranocchi e principi” per sottolineare che “guarire” significa togliersi la pelle di ranocchio e riprendere lo sviluppo interrotto di principe o di principessa e che il terapeuta deve agire per metter in moto il potenziale auto-curativo.

Sempre a proposito di guarigione, Berne sostiene che per guarire ed uscire quindi dal proprio copione è necessario recuperare la propria autonomiacosa che comporta tre importanti capacità proprie di ogni essere umano:

la consapevolezza, cioè la capacità di esser in contatto con il presente senza farsi condizionare dalle esperienze del passato;

la spontaneità, cioè la capacità di fronteggiare le situazioni potendo scegliere liberamente tra tutte le sensazioni, i pensieri e i comportamenti che ogni individuo può sentire, pensare ed agire senza costrizioni, utilizzando liberamente tutti e tre gli Stati dell’Io.

la capacità di intimità, cioè la capacità di condividere liberamente le emozioni, i pensieri e i comportamenti con un’altra persona. E’ l’intimità che permette alle persone di creare legami dando e ricevendo affetto.

Schiff e Schiff (1975), due autori molto importanti per l’ l’AT descrivono l’autonomia come il superamento della passività.

Un individuo autonomo è capace, attivamente, senza appoggiarsi ad altri ed utilizzando le capacità del proprio Stato dell’Io Adulto, di elaborare soluzioni ed intraprendere azioni volte al superamento di un problema.

Un individuo passivo, invece, secondo Schiff e Schiff, tende a svalutare e a distorcere parte della propria esperienza e a ricercare la causa delle proprie sofferenze, così come la soluzione ad esse, negli altri e nel destino.

L’origine di questa passività è da ricercare in relazioni simbiotiche non risolte. Nelle relazioni simbiotiche due persone dipendono l’una dall’altra e agiscono come se fossero un’unica persona, senza utilizzare tutti i propri Stati dell’Io.