È fuori discussione che Chiara Ferragni rappresenta un modello di emancipazione femminile dell’era moderna in grado di costruire un impero imprenditoriale finanziario dal nulla. Ma questo modello ci pone degli interrogativi profondi sui valori trasmessi attraverso i social media come il successo basato sulla visibilità, il bisogno compulsivo di performare nella vita e l’utilizzo di dinamiche familiari personali ai fini economici.
L’esempio della Ferragni, che sicuramente è stata una pioniera nell’utilizzo dei social media, ha ispirato molte persone e in particolare giovani donne. Ma quali sono stati i messaggi veicolati?
Innanzitutto, che è possibile avere successo soltanto esponendosi e rendendosi visibili: la Ferragni ha trasformato la sua vita privata in un prodotto commerciale come se la autenticità personale fosse una specie di merce o di servizio da vendere. Questo ha creato l’illusione che la chiave del successo nella vita sia solo la capacità di rendere la propria vita spettacolare e attraente sui social media mentre competenze e istruzione non contano nulla.
È il modello della cultura dell’apparenza, dove il valore dell’essere umano è misurato in base ai riscontri, cioè ai like e ai follower.
L’altro aspetto estremamente preoccupante e molto criticabile è l’esposizione dei piccoli figli sui social. C’è un problema di violazione della privacy in quanto i figli in quanto minori non hanno alcuna possibilità di dare il loro consenso ad essere pubblicamente esposti. L’immagine dei figli è stata commercializzata anche attraverso sponsorizzazioni. L’intera famiglia una vera e propria strumentalizzazione della famiglia: questo mettere i propri figli sotto i riflettori può avere delle drammatiche ripercussioni sul benessere psicologico dei bambini con rischi enormi legati ad un’alterazione della percezione del sé. Tutto ciò può fortemente influenzare altre persone a fare lo stesso e a provocare una sorta di epidemia di cattiva pratica sociale, culturale e antropologica.
Quando le decisioni dei genitori compromettono il diritto dei figli ad essere protetti, si tratta di un vero e proprio atto lesivo della autonomia e della dignità. Si tratta di una violenza simbolica e sociale negando ai bambini il diritto di scegliere la loro relazione con il mondo digitale e si attribuisce loro un ruolo pubblico che non è detto che corrisponda alla loro volontà futura.
Tutte queste considerazioni sono valide e potevano essere espresse anche prima del ben conosciuto caso del pandoro Balocco. Nel 2022 la Ferragni collabora con l’azienda dolciaria Balocco per promuovere un’edizione limitata di pandori e sembrava che parte dei proventi di questa vendita sarebbe stata destinata all’ospedale Regina Margherita di Torino per una ricerca scientifica. Ma in realtà è successivamente emerso che la donazione di 50.000 € era stata già fatta da Balocco mesi prima del lancio del prodotto e quindi non c’era alcun legame diretto con la vendita dei pandori; sembra pure che le società di Ferragni avrebbero incassato oltre 1 milione di euro dalla campagna e che questi soldi non avrebbero ulteriormente contribuito alla causa benefica. La Ferragni è stata sanzionata con una grossa multa per pubblicità ingannevole e nonostante i video di scuse della Ferragni in cui prometteva di devolvere 1 milione di euro in beneficenza, la Ferragni è attualmente indagata per truffa aggravata.
Sinceramente mi sembra una posizione indifendibile e che ha giustamente minato l’immagine pubblica della Ferragni e ha attirato critiche da ogni parte.