Emancipazione femminile e social media

Emancipazione femminile e social media

È fuori discussione che Chiara Ferragni rappresenta un modello di emancipazione femminile dell’era moderna in grado di costruire un impero imprenditoriale finanziario dal nulla. Ma questo modello ci pone degli interrogativi profondi sui valori trasmessi attraverso i social media come il successo basato sulla visibilità,  il bisogno compulsivo di performare nella vita e l’utilizzo di dinamiche familiari personali ai fini economici.

L’esempio della Ferragni, che sicuramente è stata una pioniera nell’utilizzo dei social media, ha ispirato molte persone e in particolare giovani donne. Ma quali sono stati i messaggi veicolati?

Innanzitutto, che è possibile avere successo soltanto esponendosi e rendendosi visibili: la Ferragni ha trasformato la sua vita privata in un prodotto commerciale come se la autenticità personale fosse una specie di merce o di servizio da vendere. Questo ha creato l’illusione che la chiave del successo nella vita sia solo la capacità di rendere la propria vita spettacolare e attraente sui social media mentre competenze e istruzione non contano nulla.

È il modello della cultura dell’apparenza, dove il valore dell’essere umano è misurato in base ai riscontri, cioè ai like e ai follower.

L’altro aspetto estremamente preoccupante e molto criticabile è l’esposizione dei piccoli figli sui social. C’è un problema di violazione della privacy in quanto i figli in quanto minori non hanno alcuna possibilità di dare il loro consenso ad essere pubblicamente esposti. L’immagine dei figli è stata commercializzata anche attraverso sponsorizzazioni. L’intera famiglia una vera e propria strumentalizzazione della famiglia: questo mettere i propri figli sotto i riflettori può avere delle drammatiche ripercussioni sul benessere psicologico dei bambini con rischi enormi legati ad un’alterazione della percezione del sé. Tutto ciò può fortemente influenzare altre persone a fare lo stesso e a provocare una sorta di epidemia di cattiva pratica sociale, culturale e antropologica.

Quando le decisioni dei genitori compromettono il diritto dei figli ad essere protetti, si tratta di un vero e proprio atto lesivo della autonomia e della dignità. Si tratta di una violenza simbolica e sociale negando ai bambini il diritto di scegliere la loro relazione con il mondo digitale e si attribuisce loro un ruolo pubblico che non è detto che corrisponda alla loro volontà futura.

Tutte queste considerazioni sono valide e potevano essere espresse anche prima del ben conosciuto caso del pandoro Balocco. Nel 2022 la Ferragni collabora con l’azienda dolciaria Balocco per promuovere un’edizione limitata di pandori e sembrava che parte dei proventi di questa vendita sarebbe stata destinata all’ospedale Regina Margherita di Torino per una ricerca scientifica. Ma in realtà è successivamente emerso che la donazione di 50.000 € era stata già fatta da Balocco mesi prima del lancio del prodotto e quindi non c’era alcun legame diretto con la vendita dei pandori; sembra pure che le società di Ferragni avrebbero incassato oltre 1 milione di euro dalla campagna e che questi soldi non avrebbero ulteriormente contribuito alla causa benefica. La Ferragni è stata sanzionata con una grossa multa per pubblicità ingannevole e nonostante i video di scuse della Ferragni in cui prometteva di devolvere 1 milione di euro in beneficenza, la Ferragni è attualmente indagata per truffa aggravata.

Sinceramente mi sembra una posizione indifendibile e che ha giustamente minato l’immagine pubblica della Ferragni e ha attirato critiche da ogni parte.

Il fraintendimento sul termine “femminismo”

Il fraintendimento sul termine “femminismo”

Ho sempre avuti dubbi sul termine “femminismo” perchè da un punto di vista strettamente semantico è antitetico alla parola “maschilismo” che storicamente include tutti i concetti di superiorità del genere maschile rispetto al femminile. Quindi la parola “femminismo” automaticamente comporta la superiorità del genere femminile ? Questo automatismo interpretativo è stato utilizzato da chi si opponeva e contestava il femminismo e ha reso di fatto obbligatoria una precisazione/spiegazione che chiarisse che a differenza del “maschilismo”, che presuppone la superiorità del genere maschile rispetto a quello femminile, il femminismo rivendica la parità di diritti.

Quindi mi sono chiesto perchè fu scelto un termine  semanticamente speculare a maschilismo ma che veicolava un messaggio profondamente diverso.

Ad esempio, mi sono chiesto per quale motivo il movimento non avesse scelto termini neutrali e che semanticamente rimandassero alla parità di diritti; ad esempio, mi vengono in mente parole come equalismo ….

In realtà la scelta del termine aveva ragioni storiche e pratiche dipendenti da secoli e secoli di discriminazione e oppressione.

Prima di tutto, serviva una parola centrata sulla “femminile” e che mettesse bene in evidenza che il problema riguardava la pesante oppressione delle donne da parte del sistema patriarcale; un termine neutrale non avrebbe indicato in maniera così chiara questa specificità. Utilizzare un termine neutrale avrebbe rischiato di mettere in secondo piano il problema reale e quel nome specifico e incentrato sul femminile concentrava l’attenzione su chi veramente subiva le ingiustizie, cioè le donne. Un’altro aspetto  è quello della consapevolezza dell’orgoglio delle donne, per secoli ridotte al silenzio: una parola che sottolineasse l’atto di ribellione da parte delle donne contro una cultura e un linguaggio dominante dal maschile.

Quando il termine femminismo è stato coniato, le donne si trovavano in un contesto di grave svantaggio: non avevano accesso agli stessi diritti e alle stesse opportunità degli uomini e quindi serviva un nome che sottolineasse con forza chi stava cercando di emanciparsi e di abolire la discriminazione e la diseguaglianza.

Quindi, chi percepisce il femminismo come un movimento che rivendica il dominio delle donne non è consapevole della storia e degli scopi del movimento ed è per questo che è molto importante chiarire che il femminismo non riguarda solo le donne, ma riguarda tutti e in prima battuta gli uomini che continuano ancora oggi ad essere intrappolati in ruoli rigidi di genere, non potendo beneficiare di un sistema più equo. 

In conclusione, quindi è comprensibile avere dubbi semantici sulla parola femminismo, ma se abbiamo presenti gli obiettivi con cui è nato il movimento, possiamo capire il perché della scelta di questo termine. Tuttavia, la precisazione che il femminismo non è contro gli uomini rimane necessaria perché stereotipi e fraintendimenti continuano ancora a cercare di polarizzare il dibattito.

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Omo o etero-sessuali NON SI NASCE !!

Omo o etero-sessuali NON SI NASCE !!

La così detta “scienziata” prof. Viola, ha sostenuto in una trasmissione TV rilanciata dai social che “l’orientamento sessuale è biologico”, “non dipende dalla cultura” “dipende dall’ambiente biologico” alla fine afferma che “si nasce omosessuali o eterosessuali”. Tradotto: l’ambiente, in tutte le sue manifestazioni, dai genitori alla scuola, dalla religione e alla cultura non ha alcun effetto sull’orientamento sessuale. Quello che afferma la così detta “scienziata” Viola è assolutamente falso, pericoloso, confondente e manipolatorio. Forse il bisogno di contestare un altro soggetto a piede libero, il generale Vannacci, ha confuso la “scienziata”. Vediamo perchè. Alcune delle considerazioni che seguono derivano dagli studi di Andrea Camperio Ciani professore di etologia, psicobiologia e psicologia evoluzionistica al Fisppa (dipartimento di Filosofia sociologia pedagogia e psicologia applicata) dell’università di Padova, che da quasi 20 anni studia l’omosessualità con la lente dell’evoluzione.

Nel 1993 il biologo Dean Hamer aveva individuato in una regione del cromosoma X (Xq28) la presenza di un fattore genetico che aveva correlato all’orientamento omosessuale: la cosa portò a parlare del gene dell’omosessualità e di determinismo genetico. Fortunatamente oggi sappiamo che non esiste il gene dell’omosessualità, non si può trasmettere perchè la sua frequenza non troverebbe un equilibrio nella popolazione.

L’omosessualità apparentemente non fornisce alcun vantaggio riproduttivo. Allora: perché permane al passaggio delle generazioni ? Siamo di fronte al così detto paradosso darwiniano: se l’omosessualità ha una componente genetica ereditabile e gli omosessuali non si riproducono (o lo fanno con un tasso molto basso, 0,3 figli in media, ovvero 70% in meno degli eterosessuali), come è possibile che il tratto sopravviva nel corso delle generazioni all’interno della popolazione ? Dalla genetica delle popolazioni sappiamo che un tratto che si riproduce con un tasso più basso della media degli altri tratti, prima o poi andrà ad estinguersi. 

Camperio Ciani ha tentato di risolvere questo paradosso, mantenendo l’approccio genetico. In pratica ha dimostrato che il medesimo fattore genetico associato all’omosessualità maschile sia anche associato alla maggiore fecondità femminile. 

Il cromosoma X, che nei maschi viene sempre trasmesso dalla linea materna, secondo Camperio Ciani può essere un buon candidato per contenere il fattore genetico associato all’omosessualità. Si tratta quindi di un modello di trasmissione genetica a  più fattori che giustifica la diffusione nella popolazione: uno sul cromosoma X e uno su un altro cromosoma.

Nel 2015 un gruppo americano guidato da Alan Sanders trova due fattori genetici significativi associati all’omosessualità: uno sul cromosoma X (Xq28) e uno sul cromosoma 8. 

Il problema è che sappiamo poco di questi due fattori genetici. ? Sembra che influenzino più l’androfilia che l’omosessualità. Ereditare i due fattori genetici trovati da Sanders infatti non comporta necessariamente lo sviluppo di un orientamento omosessuale: il tratto Xq28 e il tratto sull’autosoma 8 sono stati trovati sia in maschi omosessuali sia in maschi eterosessuali.

I meccanismi fisiologici che determinano l’orientamento sessuale nell’uomo infatti sono molti e la componente genetica è solo una parte di un complesso multifattoriale. 

Quindi affermare che “omosessuali si nasce” è gravissimo soprattutto per una persona che si dichiara scienziata. Si nasce con o senza il codice genetico associato all’omosessualità (cromosoma Xq28 e cromosoma 8). Se poi effettivamente si sarà omosessuali dipenderà dall’ambiente in tutte le sue manifestazioni con al PRIMO posto i genitori.

Foto di Romi Yusardi su Unsplash

Il narcisismo fallico

Il narcisismo fallico

Si tende a considerare il narcisismo come qualcosa di unitario. Nella realtà invece esistono vari gradi di comportamenti con diversi tipi di disturbi e di perdita del sé. Questi diversi tipi di turbe narcisistiche si differenziano sia per caratteristiche che per gravità cioè le differenze sono sia quantitative che qualitative. Gli indicatori di gravità più significativi sono la grandiosità, la mancanza di sentimenti, la mancanza del senso di sé, la mancanza di contatto con la realtà. Tanto più presenti e attivi sono questi indicatori tanto maggiore è l’entità del narcisismo e la sua gravità.

La forma meno grave di narcisismo è il tipo fallico narcisistico. Nei maschi tale personalità si manifesta con un comportamento quasi totalmente investito sulla seduzione delle donne. Questi maschi hanno una esagerata immagine sessuale di se stessi e sono preoccupati per questa immagine. Questo tipo di carattere può essere considerato relativamente sano e si colloca nella parte bassa dello spettro di gravità del narcisismo. Possono manifestare un buon attaccamento per le persone e per le cose del mondo. Il loro narcisismo si manifesta ostentando una grande sicurezza di sé, un senso di superiorità e una dignità esagerata. Le relazioni sociali di queste persone possono essere importanti, impulsive, energiche ed appropriate ed il più delle volte produttive. Spesso questo tipo di personalità deriva da un esagerato investimento affettivo e sessuale della madre sul figlio maschio. Queste madri pur non essendo seduttive in maniera chiara e sessuale investono emotivamente nel figlio maschio più di quanto non investano sul marito. Hanno bisogno di controllare e di possedere il figlio maschio e questo diminuisce il senso del sé del figlio. Il figlio crea quindi un’immagine sessuale di se stesso superiore alla realtà.

Nella donna succede qualcosa di simile e cioè si preoccupa più del dovuto della propria immagine sessuale. Anche queste donne possono essere sicure di sé,  a volte arroganti e vigorose e hanno spesso una forte presenza. Il loro narcisismo si manifesta con la tendenza ad essere seduttive e a misurare il proprio valore in base alle capacità di attrarre sessualmente i maschi.

Sia negli uomini che nelle donne gli indicatori di gravità del narcisismo sono di bassa intensità e il funzionamento relazionale, affettivo e sociale può essere assolutamente OK.

Foto di Michael Starkie su Unsplash

Il sabotaggio interno

Il sabotaggio interno

Leggendo il bellissimo post di Susanna Minasi ho pensato di aggiungere un pezzettino al sacrosanto concetto che Susanna mette in evidenza: quello che ci è successo da bambini è la base e la struttura di come siamo da adulti.

Ti è mai capitato di pensare o fare cose che non funzionano bene per te o che addirittura ti danneggiano ? A me spesso. Ad esempio c’è stato un tempo in cui facevo cose che alla fine esitavano in un danno fisico, traumi ad esempio. Sfidandomi ai limiti delle mie capacità mi esponevo a rischi grandi per la mia incolumità. Mi è successo con la Mountain bike, con il kite, con la barca, con lo sport in generale, in macchina o in moto. 

Oppure ti è mai capitato di fare o pensare cose che ostacolavano qualcosa di bello che ti stava capitando ? Per esempio una bella storia d’amore con una persona fantastica e speciale.

Io chiamo questi situazioni sabotaggi: cioè c’è  un pezzo di te che mette in atto pensieri e azioni che sabotano. Ognuno di noi ha un potenziale sabotatore pronto ad entrare in funzione.

Ma perché ? Da dove proviene e che significato ha questa parte di noi distruttiva  e negativa ?

E soprattutto: come si gestisce e come si neutralizza ? 

Il sabotatore, o la sabotatrice, sono il residuo attivo di meccanismi di adattamento che abbiamo messo in atto in epoche molto antiche per sopravvivere a condizioni che erano vissute come avverse e pericolose. Vediamo qualche esempio di situazione avversa che il piccolo bambino, o la piccola bambina, si può trovare a gestire. Teniamo bene presente che i bambini non hanno gli strumenti adulti per gestire la vita: il loro esame di realtà non è affidabile, non sanno dare spiegazioni razionali a quello che vedono o sentono, sono totalmente dipendenti dai genitori, non possono prendere decisioni autonome, hanno capacità comunicative primordiali. 

Il padre di un bambino di 3 anni si ammala e in pochi mesi muore. Nessuna possibilità di capire la realtà: il bambino si sente abbandonato, vede la mamma piangere disperatamente e rimanere triste per molto tempo. Soprattutto il non poter spiegare quello che era avvenuto gli crea una tale angoscia, una tale incertezza, una tale confusione da fargli pensare di non poter sopravvivere. Allora comincia a pensare  che le persone, più specificatamente i maschi, possono improvvisamente sparire senza lasciare traccia. E poiché lui è un maschio, appunto, decide che anche lui un giorno sparirà così come ha fatto suo padre. Si adatta a questa regola che crede corretta e comune. Si adatta ad un modello che potesse spiegare e giustificare quello che era successo. E non è più in confusione e in angoscia. Sta sopravvivendo a quella situazione pericolosa e minacciosa. 

Diventato grande, quell’uomo aspetta che da un momento all’altro scomparirà e non esisterà più perché quella regola imparata è profondamente archiviata nel cervello antico ed emotivo mentre non c’è ricordo del perché quella regola esiste e deve essere applicata. Teme le malattie, fa fantasie di morte per qualsiasi fatto che riguardi il corpo e anche il più banale disturbo gli fa pensare che è arrivata una malattia inguaribile e mortale. Oltre a questo si mette in pericolo in vario modo oltrepassando i propri limiti fisici ed esponendosi a incidenti e traumi di vario tipo. Nell’ambito relazionale, cerca rapporti problematici e fonte di malessere evitando accuratamente situazioni positive, giuste, amorevoli. Insomma si sabota in vario modo. La felicità e il benessere non sono una buona regola. La solitudine, la tristezza, la malattia sono buoni modelli. 

Il sabotatore, cioè il Bambino adattato lo aveva fatto sopravvivere, continua ad esistere e a lavorare ignorando la realtà che dice che quelle vecchie condizioni cui bisognava adattarsi non ci sono più. L’adattamento che lo aveva salvato allora è disfunzionale ora. Il meccanismo e la regola sono uguali, la realtà è diversa. 

Un giorno un angelo buono, travestito da psicoterapeuta, gli racconta questa storia e lui capisce che non deve più adattarsi perché l’adattamento non adeguato alla realtà è diventato sabotaggio. Purtroppo è abituato, anzi affezionato, a quel Bambino adattato trasformato in sabotatore e reprimerlo è difficile. Ci vuole tempo per convincere il Bambino (interno) che non serve più. e’ la coazione a ripetere di Freud: insistiamo a continuare a fare cose cui siamo abituati anche se fanno male. A peggiorare la situazione c’è anche la rabbia verso il sabotatore interno, la rabbia verso noi stessi. Abbandonare questa rabbia è la svolta: smettere di odiare il sabotatore e accettare che ci ha fatto sopravvivere in un tempo lontano. Forse addirittura gli dobbiamo essere grati, ringraziarlo: non mi servi più, hai fatto un buon lavoro in passato, grazie. 

Cerchiamo, vediamo e guardiamo e alla fine accettiamo il nostro sabotatore: forse ci proverà ancora ma gentilmente potremo dirgli: no grazie. 

Foto di Alexander Grey su Unsplash

 

Le relazioni tossiche

Le relazioni tossiche

Come tossicologo clinico e come psicoterapeuta parlare di relazioni tossiche è quasi eccitante perché consente di mettere insieme due discipline, due aree tematiche, la tossicologia e la psicologia, che sembrano, e per certi aspetti lo sono, distanti anni luce e senza punti in comune.

Quando un relazione di coppia diventa tossica ? Semplicemente quando intossica le parti o una delle parti. Quando, come nelle intossicazioni da veleni biologici o sintetici, si respira, si beve, si mangia, si tocca qualcosa che fa stare male, che provoca dolore, che stimola l’allontanamento o addirittura la fuga, che toglie l’aria, che mette in atto reazioni di sopravvivenza e di lotta. 

Non sopporti più come mangia e come mastica…non riesci a evitare espressioni quasi di schifo…

Non sopporti come guida, come si veste, come tiene i capelli e quindi spesso non trattieni la rabbia che ciò ti provoca. Non l* riconosci più…il tempo lascia segni e hai nostalgia di come era 15 anni fa. Il suo invecchiamento è uno sgradevole specchio in cui vedi il TUO invecchiamento ! E questo ti fa terribilmente arrabbiare. E sfoghi tutta la tua rabbia su l’altr*. Non ti va di tornare a casa e la sua tranquillità e calma ti fa arrabbiare ancora di più. Vuoi andare in vacanza per conto tuo. Sogni di incontrare un altra persona di cui innamorarti. Sembra che niente è rimasto del grande amore di 15 anni fa. Tanti momenti belli che sembrano andati persi. Questa è la tossicità delle relazioni in crisi. E vai avanti, sopporti, speri che passi, cerchi novità che possano dare ossigeno. Vorrei altro ma ci sono 2 figli piccoli o adolescenti……Vorrei altro ma abbiamo appena comprato casa e speso un sacco di soldi….Vorrei altro ma non riesco a pensare di ricominciare tutto da capo….vorrei altro ma l’idea di avere un amante non mi piace e so che non risolve. 

Poi un giorno senti che la tossicità è insopportabile, ti manca l’aria. Forse hai incontrato una persona che ti piace, che ti riconosce, che ti ispira. Forse la psicoterapia ha mosso qualcosa e ti ha illuminato verso la strada giusta. E allora trovi la forza di rompere, di parlare, di andare, di sognare, di vedere, di ascoltare, di riflettere e di decidere. Non hai la minima idea di quello che potrà succedere e non si ha nessuna certezza sulla bontà di quella decisione. Sai solo che non puoi andare avanti così perché potresti morire, sia psicologicamente che fisicamente. Ma il mondo la fuori dopo 15 anni è cambiato. Anche tu sei cambiat*. Che succederà ? Sicuramente la sindrome tossica lentamente si risolve perché il veleno relazionale era dovunque nelle persone e nei luoghi. E quando la tossicità è sparita forse hai occhi per vedere meglio e per sentire meglio. Ma soprattutto per capire meglio. 

Foto di Shayna “Bepple” Take su Unsplash

I bisogni relazionali

I bisogni relazionali

La motivazione umana principale è la fame di riconoscimento cioè il bisogno di essere riconosciuti nella propria esistenza dagli altri.  Così diceva Eric Berne, padre dell’Analisi Transazionale. Tutta la vita  è organizzata per cercare e dare riconoscimenti.
Richard Erskine, Analisi Integrativa,  parla dei bisogni relazionali che condizionano la vita. Vanno ben oltre i bisogni finalizzati alla sopravvivenza (cibo, acqua, aria, temperatura) e determinano la qualità della vita e il senso di sé nelle relazioni. I bisogni relazionali sono tanti ma otto sono più spesso causa di sofferenza e insoddisfazione nelle relazioni.

1 – Bisogno di sicurezza: sentirsi protetti nelle nostre vulnerabilità e fragilità fisiche e emotive. Posso permettermi di mostrare le mie debolezze perché so che saranno accettate e non metteranno in crisi la relazione ?

2 – Bisogno di conferma: sentirsi convalidatə e importanti nella relazione. L’altrə mi vede, mi capisce, mi conferma quello che provo ?

2 – Bisogno di protezione:  come da bambini, anche da adulti abbiamo ancora bisogno di contare su figure da cui ricevere protezione, incoraggiamento, conoscenza, supporto. Quando serve, l’altrə mi protegge ? 

4 – Bisogno di reciprocità: sentire che l’altrə  è simile, che prova spesso le stesse cose.  L’ altrə  apprezza e valorizza la tua esperienza perché la conosce ?

5 – Bisogno di autodefinizione: poter esprimere se stessi nella propria unicità ed essere capiti, accettati e rispettati dall’altrə ; posso esprimere liberamente la mia identità e manifestare  preferenze, interessi, idee senza sentirmi rifiutatə disprezzatə giudicatə  ?

6 – Bisogno di avere impatto sull’altrə : capacità di avere un’influenza sull’altrə : sul suo modo di pensare, il suo comportamento, i suoi interessi suscitando una reazione emotiva. Quello che dico, faccio, penso impatta sull’altrə ?

7 – Bisogno di iniziativa nella relazione: cioè che l’altrə  faccia qualcosa di propositivo per attivare il contatto interpersonale dimostrando l’importanza che hai. Sei sempre e solo te che cerchi il contatto ?

8 – Bisogno di  amore:  espresso tramite gratitudine, riconoscenza, calore, empatia, azioni. Ti senti amatə ?

Abbiamo bisogno che tutti questi bisogni siano soddisfatti sia nella dimensione del ricevere sia quella del dare altrimenti la mancanza di reciprocità crea malcontento, insoddisfazione, frustrazione, senso di falsità.

Foto di Noah Buscher su Unsplash

Medici e infermieri

Medici e infermieri

Ciao. Ti capita di non aver chiaro quale relazione di team ci sia tra medico e infermiere ? Lo capisco. Molte cose sono cambiate negli ultimi 20 anni e ci sta che ci possa essere confusione. Io ho lavorato in team con gli infermieri dal 1984 al 2023, un periodo lungo. Medici e infermieri sono i professionisti sanitari con ruoli trasversali rispetto a patologie, discipline, organizzazioni e hanno la maggiore esperienza di contatto continuativo con pazienti e parenti. Per questo la loro relazione , sia professionale che umana, è quella più impattante sugli obiettivi di salute pubblica. La professione infermieristica ha subito sostanziali evoluzioni dalla laurea all’ordine professionale. Molte forte è stato il bisogno di rafforzare l’identità professionale, le autonomie decisionali, le responsabilità etiche e medico legali, i percorsi di formazione e di aggiornamento, le competenze tecniche e non tecniche. I risultati di questa evoluzione sono evidenti e condizionano in modo decisivo il successo delle cure. La professione medica, invece, è sostanzialmente ferma sulle posizioni degli anni 80: percezione di leadership statica e obbligata nei team sanitari, gerarchia funzionale e organizzativa, monopolio formativo e scientifico, potere dell’accademia e dei dipartimenti. Ricordo molto bene le resistenze, l’ironia e le aperte critiche che molti medici, soprattutto universitari, manifestarono per l’introduzione della laurea in Infermieristica: ho sempre pensato che tutto ciò fosse il frutto di insufficiente autostima e paura di confronto da parte di molte persone che scelgono la professione medica per colmare vuoti e riparare fragilità. L’evoluzione degli infermieri è un enorme progresso per la sanità perché rafforza un ruolo che è indispensabile per la sanità. 

Tuttavia qualcosa non sta andando per il verso giusto e mi imbatto con una certa frequenza in posizioni che non mi tornano come: “gli infermieri devono essere formati solo dagli infermieri” “gli infermieri sono autonomi e autosufficienti” “gli infermieri non devono eseguire le indicazioni del medico” Che sta succedendo ? Ho imparato e sono cresciuto professionalmente da chiunque mi dimostrasse competenze, cultura, esperienza e saggezza: dal mitico professor Ascenzi luminare di Anatomia Patologica alla fantastica caposala della Medicina del San Giovanni a Roma. Nessun professionista sanitario è autonomo e autosufficiente: si cura sempre in team anche se la formazione universitaria ancora oggi non sempre lo prevede. La leadership statica e obbligata è un concetto superato e da abbandonare: nessun prende ordini da un altro membro del team, chiunque può esercitare la leadership in qualsiasi momento in cui la situazione del paziente lo richiede. I medici non possono fare a meno degli infermieri e gli infermieri non possono fare a meno dei medici. E’ un concetto di simmetria compatibile con le diverse competenze, con i diversi ruoli, coni diversi percorsi formativi. 

La fine della Sanità Pubblica

La fine della Sanità Pubblica

La tristezza mi assale quando ricordo l’entusiasmo con cui mi presentavo a fare la notte come rianimatore al Policlinico Gemelli 35 anni fa e quando vedo mia figlia che dopo 6 anni di laurea e 5 di specializzazione abbandona il SSN alla veneranda età di 36 anni !

La fuga in massa dagli Ospedali pubblici di medici specialisti è un fenomeno catastrofico sintomo di un deterioramento della Sanità di portata epocale e con prognosi infausta. Poiché la cosa riguarda sia giovani medici che colleghi prossimi alla pensione, non è possibile giustificarla con letture generazionali. Piuttosto occorre guardare alla motivazione intrinseca alla professione medica che ha subito durissimi colpi negli ultimi 30 anni. 

Per esempio mi viene in mente la così detta riforma Bindi del 1999 che introdusse il principio di esclusività  di rapporto con il SSN e che di fatto causò l’allontanamento di molti talenti. 

Ma il vero peccato originale consiste nel cambiamento della mission degli Ospedali il cui macro obiettivo è passato dalla cura delle malattie al raggiungimento del profitto. Ai tempi del Pio Istituto di Santo Spirito a Roma i primari avevano nelle loro mani anche le decisioni amministrative e il loro focus, da medici, non si allontanava mai dalla cura dei pazienti. Oggi i Direttori General prendono decisioni basate principalmente su problematiche di budget. 

Le mie notti in Rianimazione di 20 anni fa valevano la rocambolesca cifra di 110 € netti (meno di 10 € /ora !!) per 12 ore di turno insonne e massacrante in cui si rischiava di ammazzare qualcuno alle 5 del mattino quando l’ultimo dei dieci caffè del turno non riusciva più a far tenere gli occhi aperti. La professione medica non è una missione senza scopo di lucro bensì un lavoro di grande responsabilità e impegno con cui guadagnarsi da vivere. 

Capisco perfettamente i colleghi che abbandonano gli ospedali alla ricerca di una qualità di vita migliore. Sono sicuramente stanchi che i loro primari, il cui principale obiettivo è il rinnovo del mandato alla scadenza del quinquennio, obbediscono agli ordini del Direttore Generale che li obbliga di fatto a schiavizzare i sottoposti pur di mantenere il servizio con risorse inadeguate. I Direttori Generali sono a loro volta sotto il giogo dei politici regionali che hanno la facoltà di rimuoverli o mantenerli nel ruolo.

Per non parlare della medicina difensiva che ormai infesta tutte le attività sanitarie. Essendo un paese  in cui i medici vengono giudicati dalla giustizia ordinaria e non dagli ordini professionali, la sopravvivenza al turno senza incappare in una denuncia è il principale obiettivo dei medici. Già, perché è sufficiente un perito d’ufficio che conosca poco la materia per cui è stato chiamato a peritare per provocare un avviso di garanzia che provocherà danni economici e psicologici di portata non quantificabile. 

Ovviamente l’emergenza e l’area critica sono i settori che più soffrono con buona pace dei poveri cittadini che, non riuscendo a contattare il loro medico di base che la Domenica non lavora, si rivolgono ai Pronto Soccorso degli Ospedali. Qui ormai lavorano prevalentemente giovanissimi medici, magari neo laureati e senza alcuna esperienza, a cui viene affidato il delicatissimo compito di gestire situazioni critiche ad altissimo rischio.

Non credo si possa fare nulla. Ai politici interessa poco, la Sanità è la spesa pubblica più importante e porta pochi voti. Già ora e sempre di più in futuro chi avrà risorse si pagherà le cure e chi non le ha subirà le lista d’attesa per gli interventi d’elezione e le attese estenuanti nei Pronto Soccorso del territorio. 

Foto di Olga Kononenko su Unsplash

Ignorare i nastri registrati del Genitore

Ignorare i nastri registrati del Genitore

Ho avuto in terapia un giovane uomo il cui padre era stato in prigione per molti anni e la cui madre si ingegnava con piccoli furti per sostenere la famiglia. Il paziente aveva l’idea stabile, forte e profondamente radicata che “non bisogna mai fidarsi di un poliziotto”. Questa idea proveniva dal riascolto di nastri registrati nello Stato dell’Io Genitore sia dalla madre che dal padre. 

Il giovane uomo un giorno incontra un giovane poliziotto che lo aiuta a gestire una difficile situazione lavorativa. Il poliziotto è gentile, cordiale, disponibile, autentico e affidabile. 

La realtà che ha davanti agli occhi entra in pesante conflitto con il riascolto del nastro del Genitore Normativo. Ma non bisognava mai fidarsi dei poliziotti ? Il Genitore dice una cosa e l’Adulto un altra. Per anni il nastro registrato del Genitore Normativo, cioè la voce interna che dice ad alta voce e con tono autoritario: “Non fidarti mai di un poliziotto !!”, è stato considerato la assoluta verità non contestabile e assoluta. Per un bambino è molto prudente credere a quello che dicono i genitori piuttosto che contestarla sulla base di quello che vede e che sente. Il Genitore rappresenta una minaccia così forte che si deve rinunciare a indagare sul conflitto che si è creato per capire se la “verità” è la realtà o il nastro registrato. 

Ma per fortuna il Genitore è una minaccia non reale ma immaginata dal Bambino e se l’Adulto rivaluta e corregge il nastro registrato sulla base della realtà, non corre alcun rischio anzi migliora le scelte di vita e le rende aderenti alla realtà del qui ed ora e non al vissuto del la ed allora.

Foto di Daniel Schludi su Unsplash