Tre Bambini che si incontrano…. di cui uno in carne ed ossa

Tre Bambini che si incontrano…. di cui uno in carne ed ossa

Parlo qualche giorno fa con un mio caro amico che ha una figlia neonata. Gli chiedo come va e come stanno lui e la moglie. Mi risponde che la bimba cresce e che loro sono abbastanza tranquilli. Abbastanza…. Cosa significa questo avverbio ? In modo sufficiente ? La loro tranquillità è sufficiente anche se potrebbe essere di più.. Insomma mi risuona che forse c’è qualche motivo di non essere “completamente” tranquilli.

Che succede nel mondo interno della persone quando nasce un bambino ? E ancora prima, che succede quando l’idea di un figlio prende corpo e si materializza nell’utero materno ? L’Analisi Transazionale ci permette, ancora una volta, di leggere in modo semplice e immediato le dinamiche psicologiche che vengono messe in moto quando una coppia diventa un terzetto.

Ognuno di noi possiede tre Stati dell’Io: Il Bambino, l’Adulto e il Genitore. Sono insiemi di pensieri, emozioni e comportamenti che determinano la nostra personalità, il nostro modo di essere e le nostre relazioni con gli altri. I genitori di una neonata hanno generalmente una personalità già determinata e un assetto completo degli Stati dell’Io. La neonata inizia a costruire la sua personalità fin dai primissimi momenti ma inizialmente è presente un solo Stato dell’Io: il Bambino. Sappiamo che gli Stati dell’Io Adulto e Genitore acquisiscono una loro dignità psicologica in un secondo tempo.

L’Adulto della mamma e del papà, che è in grado di analizzare la realtà del qui ed ora, può gestire tutti gli aspetti coscienti, razionali e operativi della gravidanza e dei primi mesi di vita del bambino. Il Genitore della mamma e del papà, fornisce affetto e protezione nonché le regole e le norme.

Ma come si pone lo Stato dell’Io Bambino della coppia genitoriale rispetto ad un bambino in carne ed ossa ? Un bambino vero e per certi aspetti puro ? Capire questo, o meglio, sapere qualcosa su ciò che può accadere, è importante e può aiutare ad evitare alcuni comuni errori che le coppie compiono durante i primi mesi di vita dei figli.

Il neonato, cioè il bambino vero, è in una condizione di totale dipendenza dal mondo esterno: ha solo bisogni da soddisfare, comunica solo con il corpo, non è autonomo né autosufficiente, non ha alternative, vive l’ambiente esterno (compresi i genitori) come onnipotente, forte e enorme. Deve affrontare una situazione che inizialmente sembra estremamente sfavorevole e pericolosa rispetto all’ambiente caldo e liquido dell’utero. Ha bisogno di accudimento, affetto e calore. Se i genitori, e soprattutto la mamma, rispondono a questi bisogni, il neonato si sentirà protetto e accudito, acquisirà fiducia nel mondo esterno e si incamminerà verso una personalità sana ed equilibrata. Per far questo i genitori mettono in funzione il loro Genitore Affettivo e, all’inizio in modo limitato, anche quello Normativo. Le parti adulte dei genitori organizzano la vita in modo da gestire al meglio tutte le esigenze di una situazione nuova e sconosciuta.

Ma il neonato necessita di tante cure e assorbe gran parte del tempo dei genitori che nel frattempo devono continuare ad occuparsi di tutto quello che esisteva prima: lavoro, casa, resto della famiglia. Se il neonato dorme poco o dorme con ritmi anomali, la stanchezza diventa una componente fondamentale; ricordo bene i primi mesi della mia primogenita: aveva un alterazione importante dei ritmi circadiani, si addormentava alle 5 del pomeriggio ed era definitivamente sveglia alle 4 del mattino, sempre. Dopo un mese così, aspettavo con gioia i turni di guardia in Ospedale dove avevo più speranze di dormire che a casa !! E non consideriamo per il momento le situazioni con problemi di salute del neonato quando tutto questo può amplificarsi in modo esponenziale.

Quindi i genitori energizzano quasi totalmente gli Stati dell’Io Adulto e Genitore spesso escludendo lo Stato dell’Io Bambino per cui non c’è tempo, spazio, risorse. Il genitore velista in questo periodo dimentica le sue veleggiate, quello calciatore le sue partite, il ciclista le sue uscite in bici, il cuoco le sue ricette, l’atleta la sua palestra. Quelle attività che le persone svolgono per soddisfare le loro parti bambine, devono essere momentaneamente sospese perché il bambino in carne ed ossa ha la precedenza. E non parliamo del sesso !! Se ne riparlerà forse tra 6-8 mesi.

La limitazione o quasi esclusione dello Stato dell’Io Bambino dei genitori è alla base di malesseri e sofferenze psico-fisiche che si ripercuotono negativamente sul bambino vero e di cui nella maggior parte dei casi non si riesce ad avere consapevolezza piena. Alcune volte, lo Stato dell’Io Bambino della mamma è così sotto pressione che invia messaggi potenti al bambino vero che viene vissuto come la causa del problema: “Ti odio !”, “Vattene via !” “Perché sei arrivato ?”.

Tre Bambini- Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

 

 

 

 

Attenzione: non si tratta quasi mai di messaggi verbali coerenti ma di messaggi ulteriori e psicologici veicolati con il corpo, con le emozioni e con i comportamenti. Proprio per questo risultano potenti e in grado di essere recepiti anche da un neonato di pochi mesi che, come detto sopra, utilizza solo comunicazioni non verbali. Gli effetti negativi di questi messaggi non verbali di rifiuto possono essere gravi soprattutto se provenienti dalla madre e se ripetuti nel tempo.

Ho sottolineato il fatto che il rapporto con la madre risulta prioritario almeno nei primi mesi di vita e che i comportamenti, i pensieri e le emozioni della madre sono maggiormente condizionanti. Ciò è legato al dato biologico della simbiosi psico-fisica tra feto e madre che, dopo la nascita, non viene immediatamente abbandonata ma solo gradualmente rimossa. Inoltre, se l’assetto familiare è di tipo patriarcale mono reddito, alla madre viene dato implicito mandato di gestire da sola il bambino poiché il “padre/marito” deve lavorare e sostenere la famiglia.

Come si possono limitare, o idealmente annullare, i messaggi negativi da parte dello Stato dell’Io Bambino dei genitori nei confronti del bambino in carne ed ossa ?

Un punto fondamentale e propedeutico è essere consapevoli di queste dinamiche, ad esempio leggendo post come questo. Ma la consapevolezza da sola spesso non basta. Occorre che i genitori si prendano cura dei loro Bambini (interni, Stati dell’Io) arrabbiati, impauriti, tristi. Come ? Prendendosi degli spazi propri e soddisfacendo bisogni bambini personali. Questo all’inizio può essere difficile da realizzare ma fisiologicamente la situazione tende a migliorare e ci saranno sempre più possibilità di ri-appropiarsi di se stessi. Una buona organizzazione tra madre e padre, l’aiuto dei nonni, una amorevole baby sitter, una sorellina grande e coscienziosa. Esistono evidentemente situazioni particolarmente difficili in cui nulla di tutto questo è realizzabile e poco si può fare di fronte ad un dato di realtà negativo. Esistono poi casi, e sono la maggioranza per la mia esperienza, in cui il principale ostacolo a prendersi cura del proprio Bambino è il proprio Genitore Normativo Critico che sentenzia: “Non c’è tempo per il divertimento !”, “Prenditi cura di tuo figlio”, “Sii una buona madre !” , “I Genitori di oggi non valgono nulla !”.

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Questo dialogo interno è in grado di bloccare il proprio Genitore Affettivo che invece suggerisce: “se lasci il bambino 2 ore con la babysitter puoi andare in palestra e scaricarti”.

Tre Bambini- Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riassumendo possiamo così delineare la tattica per consentire al proprio Bambino di allentare la pressione cui è sottoposto:

1 – prendere consapevolezza della cosa

2 – silenziare il Genitore interno critico e giudicante

3 – dare permessi compatibili con la realtà attivando il Genitore Affettivo interno.

Tre bambini che si incontrano possono creare una notevole confusione; il bambino vero non ha scelte mentre i Bambini interni del papà e della mamma hanno dalla loro il Genitore Affettivo interno che può prendersi cura di loro. E se questo accade il Bambino di mamma e papà non invierà più minacciosi messaggi al bambino vero.

Le organizzazioni sociali e la distruttività regressiva gruppale

Le organizzazioni sociali e la distruttività regressiva gruppale

La controparte nascosta del lavoro positivo che viene portato avanti nelle strutture organizzative delle istituzioni è l’attivazione di fenomeni regressivi di gruppo caratterizzati spesso da conflitti distruttivi e auto distruttivi. Ciò è legato agli impulsi libidici e aggressivi che si attivano nell’inconscio dinamico nei gruppi e nelle istituzioni sociali. Allo stesso modo si osservano, come nell’individuo, processi di difesa e di sublimazione legati all’erotismo e all’aggressività, alla creatività e all’auto- distruttività.

Ciò a volte comporta che professionisti equilibrati, sani e ben adattati, lavorando nel contesto di gruppi regressivi e con una struttura di lavoro non adeguata, possono a loro volta regredire verso comportamenti anomali. È come se all’interno di queste situazioni di gruppo disfunzionali le forze gravemente distruttive e autodistruttive dell’inconscio dinamico fossero senza alcun controllo. Rispetto questo la leadership può ridurre o peggiorare l’aggressività primitiva all’interno di un contesto sociale e di gruppo.

Nel 1921 Sigmund Freud tentò per primo lo studio psicanalitico dei fenomeni di gruppo cercando una spiegazione utilizzando la psicologia dell’Io che da poco era stata sviluppata. Freud affermava che le persone all’interno di una folla provano un sentimento immediato di intimità reciproca derivante dalla proiezione del loro ideale dell’Io sul leader e dall’identificazione con il leader stesso e con i compagni. Questa proiezione si accompagna generalmente ad una grave riduzione del funzionamento dell’Io, cioè del funzionamento individuale e di conseguenza possono venire alla luce dei bisogni primitivi che solitamente rimangono a livello inconscio e il gruppo si muove sotto la spinta di pulsioni e di emozioni, di eccitazione e di rabbia, tutte condizioni stimolate e dirette dal leader.

Attivazione di funzionamenti psicologici arcaici

Indipendentemente dalla maturità e dalla integrazione psicologica delle persone, in alcune condizioni di gruppo si generano fenomeni regressivi e si attivano livelli psicologici primitivi. Questi fenomeni regressivi consistono nella attivazione di operazioni di difesa e di processi relazionali che riflettono relazioni oggettuali primitive. Questo tipo di regressione è potenzialmente presente in ciascuno di noi. Quando la struttura sociale si indebolisce, cioè quando i nostri ruoli abituali vengono momentaneamente sospesi e molti oggetti interni si attivano simultaneamente in una relazione non strutturata, è come se si riattivassero le molteplici primitive relazioni oggettuali interne; cioè si riattivano livelli primitivi di funzionamento psicologico. Per primitivo si intende risalenti ai primissimi anni di vita. Per questo motivo, i fenomeni di gruppo generalmente vengono vissuti come una minaccia all’identità personale ed è per questo che di fronte all’affiorare di meccanismi di funzionamento primitivi riaffiorano anche operazioni difensive primitive e aggressività primitive, con caratteristiche della fase di sviluppo psicoattiva pre-genitale.

Nell’ambito dell’attivazione di meccanismi psicologici primitivi occorre ricordare anche l’attivazione di caratteristiche sessuali infantili. Il gruppo tende ad essere intollerante verso ogni coppia che voglia mantenere la propria identità personale. Questa intolleranza della folla contro la sessualità può essere interpretata come la regressione ad un meccanismo psicologico primitivo che è quello della rivalità tra figli per il possesso delle madri e delle sorelle.

A cavallo degli anni 40 e degli anni 50, Bion descrisse i fenomeni regressivi che si possono osservare in un gruppo e parlò di tre grandi fenomeni emotivi di base che sono il fondamento delle reazioni di gruppo. Lavorando con i gruppi Bion poté osservare e descrivere direttamente le dinamiche e gli sviluppi al suo interno: ogni gruppo che si riunisce per il raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo di lavoro, possiede l’orientamento mentale e il funzionamento che è finalistico allo scopo prefisso e corrisponde al principio di realtà, segue ovvero la razionalità e la consapevolezza, caratteristiche intrinseche dell’Io; in termini AT possiamo dire che il gruppo attiva l’Adulto che valutando il qui ed ora e gli obiettivi reali cerca di perseguire uno scopo istituzionale.

Bion osservò anche che sussistono resistenze nel gruppo che ne possono ostacolare il funzionamento, non sono orientate allo sviluppo e dipendono da angosce e ansie primitive e che seguono il principio del piacere. Si energizzano i Bambini e il gruppo si “aggrappa” ad un insieme di difese caratteristiche del Bambino e non lavora più in senso maturativo, ma rimane fermo in una situazione quasi limbica. Bion chiamò questi meccanismi assunti di base”, vere e proprie difese adottate dal gruppo nei confronti dello sviluppo-trattamento; essendo tali sono al di fuori della consapevolezza dei membri, ostacolano l’attività attraverso forti tendenze emotive.

1 – La dipendenza. Quando la dipendenza è il fenomeno emotivo dominante in un gruppo, i membri percepiscono il leader come onnipotente e onnisciente e se stessi come inadeguati, immaturi e incompetenti (Bambini Adattati). Il gruppo si riunisce allo scopo di dipendere da qualcuno o da un capo, da cui ci si attende possa fare tutto e appare come un Dio che viene sempre più idealizzato; può risolvere tutti i problemi e su di lui (o lei) vengono proiettate molte aspettative.

Questa idealizzazione del leader si accompagna al bisogno opposto e conflittuale di rubargli la conoscenza, il potere e la bontà. I membri del gruppo quindi rimangono in uno stato di continua impasse tra bisogno di dipendenza e invidia. Sono perennemente ingordi e perennemente insoddisfatti. Quando il leader non corrisponde più a questi ideali, i membri del gruppo reagiscono prima con la negazione poi con la svalutazione rapida e totale del leader e con la ricerca di un sostituto. Il gruppo dipendente è quindi caratterizzato da:

  • idealizzazione primitiva
  • onnipotenza proiettata
  • negazione
  • invidia
  • avidità

Tutte queste dinamiche mentali si accompagnano ad altrettante difese. In termini analitico transazionali i membri del gruppo attivano lo stato dell’Io Bambino sotto l’influenza di un Genitore potente e cattivo. Oscillano tra l’adattamento/dipendenza e la ribellione/rabbia. La ricerca di nutrimento e di dipendenza è dominante, fenomeni caratteristici della fase pre-genitale dello sviluppo psico-evolutivo. La Chiesa è la struttura istituzionale tipica del gruppo dipendenza.

2 – Lotta e fuga 

Il gruppo si mostra compatto con tutto ciò che possa sembrare un pericolo esterno e si aspetta dal leader protezione e guida nella lotta contro il nemico e contro le forze disgregatrici del gruppo, cioè le lotte interne al gruppo. I membri del gruppo non tollerano l’opposizione ad ideologie condivise e di conseguenza si scindono in sottogruppi che lottano tra di loro. Il gruppo tende a controllare il leader o, al contrario, si percepisce come controllato dal leader. C’è convinzione globale che esiste un nemico all’esterno da cui difendersi: lo si evita attraverso la fuga o lo si affronta attraverso l’attacco. Controllo aggressivo, sospetto, bellicosità, panico sono fenomeni dominanti, anche essi caratteristici della fase pre-genitale. L’esercito è la struttura istituzionale tipica del gruppo lotta-fuga.

3 – L’accoppiamento

Il terzo assunto di base descrive la presenza di due o più persone (di solito una coppia) che dominano la situazione e il resto del gruppo che si stringe intorno ad essa, in quanto vige la speranza che questi riescano a risolvere i problemi attuali degli altri membri attraverso un intervento sovrannaturale o di tipo divino (esempio: l’attesa del Messia, attesa di una rivelazione di tipo messianico). I membri del gruppo si focalizzano su una coppia interna al gruppo (di solito, non sempre, eterosessuale) e su questa coppia l’inconscio gruppale appunta l’aspettativa positiva della riproduzione assicurandosi la sopravvivenza minacciata dall’attacco all’identità del gruppo.

Le organizzazioni sociali funzionali (industria, educazione, ospedali) devono tendere al massimo controllo, riduzione e sublimazione della psicologia di massa come parte fondamentale del sistema organizzativo di lavoro. Purtroppo, a prescindere dalle misure protettive e correttive che vengono messe in atto, l’aggressività e Il sadismo si sviluppano sempre nelle istituzioni e si infiltrano a vari livelli.

L’inevitabile attivazione di aggressività primitiva nel funzionamento individuale all’interno di gruppi riflette la naturale predisposizione universale latente a regredire a livelli pre-edipici di organizzazione intra-psichica.

Praticare e rafforzare le abilità non tecniche

Praticare e rafforzare le abilità non tecniche

Le abilità non tecniche dei professionisti della salute determinano il raggiungimento degli obiettivi dei team più di quanto non facciano le conoscenze e le abilità tecniche.

Come praticare e rafforzare le abilità non tecniche nei percorsi formativi dei professionisti sanitari ?

Alessandro Barelli spiega alcune possibilità che i facilitatori hanno disponibili per rafforzare fattori come consapevolezza della situazione, lavoro di gruppo, decisionalità, leadership.

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La Psicologia dell’Io: dai contenuti ai processi

La Psicologia dell’Io: dai contenuti ai processi

Nel 1923 Sigmund Freud pubblica l’Io e l’Es, testo fondamentale in cui introduce il modello strutturale e da inizio a una nuova fase di teoria psicologica in cui gli interessi si spostano dai contenuti inconsci alle modalità, cioè ai processi, con cui questi contenuti vengono sottratti alla consapevolezza.

Secondo Freud, la psiche può essere suddivisa in tre grandi macro settori: Es, Io e Super-Io.

L’Es è quella parte della psiche che contiene impulsi e pulsioni primitive e arcaiche cioè forse non razionali in cui si confondono e si sommano desideri, paure e fantasie. Naturalmente l’Es è completamente inconscio, non verbale (si esprime con immagini e simboli), prelogico, non hai concetti di tempo, mortalità e limite. Freud faceva quindi riferimento ad una modalità cognitiva primitiva che sopravvive nel linguaggio dei sogni, delle battute umoristiche e delle allucinazioni. Inoltre, si manifesta con dei derivati a volte di difficile comprensione in forma di pensieri, comportamenti ed emozioni.

L’Io contiene tutte le funzioni che consentono all’uomo di adattarsi alle necessità della vita con modalità accettabili all’interno della famiglia e della società; gestisce cioè gli impulsi incontrollati e primordiali dell’Es. L’Io è in continuo sviluppo ma acquista rapidamente forza soprattutto nell’infanzia a partire dalle prime fasi di vita; agisce secondo il principio di realtà e utilizza modalità cognitive sequenziali, logiche, orientate al qui ed ora. L’Io contiene anche parti inconsce come d’esempio i processi difensivi come la rimozione e lo spostamento. L’Io ha quindi il fondamentale ruolo di percepire la realtà e di adattarsi ad essa: l’Io è tanto più forte quanto più in grado di riconoscere la realtà, anche quando è molto spiacevole, senza utilizzare difese primitive. Ciò implica che la forza dell’Io, che parallela alla salute psicologica, implica la possibilità di utilizzare in modo sano difese mature e diversificate; un ulteriore conseguenza di questa considerazione è l’idea che la salute mentale è direttamente correlata al grado di flessibilità emotiva.

Il Super-Io è quella parte della psiche, cioè del Sé, che gestisce la persona soprattutto da un punto di vista morale. È quella parte di noi che si congratula quando facciamo le cose nel nostro meglio e critica quando deviamo dagli standard. Freud pensava che il Super-Io si formasse principalmente durante l’infanzia, e in particolare durante la fase edipica, attraverso l’identificazione con i valori dei genitori; oggi si pensa che abbia origini molto più precoci nelle nozioni infantili di bene e di male.

La “Centerfold” syndrome ossia la corazza della mascolinità

La “Centerfold” syndrome ossia la corazza della mascolinità

Sto leggendo con molto piacere l’ultimo libro di Michele novellino: “I pronipoti di Adamo”, sottotitolo: le radici dell’amore ambivalente dell’uomo per la donna.

 

Pronipoti di Adamo - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

A pagina 38 mi imbatto nella “Centerfold syndrome” e subito mi scatta la curiosità tipica del mio Bambino di sapere cos’è; Novellino inizia il paragrafo così: “Brooks nel 1995 ha studiato l’origine e la rilevanza sociale ancora attuale dei messaggi che conducono il maschio a costruire la propria identità sessuale e, di conseguenza, la propria concezione della femmina e della”natura” del rapporto sessuale.” A questo punto capisco il tema ma non capisco il termine inglese centerfold. Provo con Google translate ma non c’è traduzione in italiano del termine inglese. Un semplice modo per capire il significato delle parole inglesi non traducibili è quello di cercare il termine su Google selezionando immagini: provate a farlo e probabilmente rimarrete, come sono rimasto io, a bocca aperta. Cercando le immagini in rete connesse alla parola inglese centerfold si ottengono esclusivamente pagine di copertina e pagine centrali di riviste pornografiche per uomini come ad esempio la famosissima rivista Playboy. Se invece la maggior parte di voi non rimane a bocca aperta perché già conosceva il significato della parola, sono io ad avere un importante buco cognitivo. In ogni caso, riprendo le riflessioni di Novellino e ve le propongo.

La stretta aderenza ad un codice maschile applicato alla sessualità crea spesso un importante disturbo del comportamento degli uomini (intendo dire dei maschi) sia nella sfera sessuale sia nella sfera relazionale ed emozionale. Questi maschi sentono la necessità impellente di desiderare donne fisicamente attraenti cosa che superficialmente può essere giudicata naturale ma che in profondità denuncia un pregiudizio e un ordine interno che costringe il maschio a conquistare, a competere con altri maschi nell’ottenere un corpo femminile aderente a standard estetici codificati. Molto spesso le donne sono pesantemente condizionate e per sentirsi attraenti si adeguano a questi standard. La nostra cultura contemporanea sostiene questo modello ed esalta l’apparenza fisica. La conquista del corpo femminile è più importante delle relazioni, del rispetto, delle emozioni. I pregiudizi socio-culturali relativi alla disparità tra uomo e donna, sono un aspetto centrale nella storia di questi maschi.

La sindrome è caratterizzata da cinque elementi principali:

  1. il Voyeurismo cioè l’eccessiva importanza dell’osservazione del corpo dell’altro. Purtroppo i media, e la comunicazione digitale (Social e Web) promuovono un modello relazionale fortemente basato sull’apparenza fisica. La componente visiva delle relazioni sessuali e dell’erotismo si è accresciuta in modo ipertrofico nell’era moderna generando una vera e propria ossessione di guardare i corpi femminili.
  2. Oggettificazione: il corpo femminile è considerato un oggetto e alle donne viene trasmesso il messaggio che la bellezza fisica è il mezzo più importante e irrinunciabile per essere riconosciute socialmente, per avere potere e libertà personale. E’ l’ossessione per l’apparenza e le donne perdono la loro vera personalità con maschi che investono in maniera feticistica su parti del corpo della donna.
  3. Bisogno di conferma: molti uomini vedono la sessualità come unico mezzo per confermare la propria virilità. Allo stesso tempo questi maschi ricercano in modo ossessivo evidenze oggettive del piacere femminile in quanto ciò fornisce una prova concreta della loro mascolinità; in qualche modo quindi il corpo della donna diviene un indicatore della adeguatezza maschile e i maschi diventano schiavi della sessualità non relazionale.
  4. Ricerca del trofeo: il corpo della donna è un trofeo da conquistare e da mostrare in quanto è la prova della propria adeguatezza e superiorità rispetto agli altri maschi
  5. Paura dell’intimità cioè un comportamento sessuale distaccato, in cui il maschio ha paura ad instaurare un contatto emotivo con l’altro diverso da sé. L’emotività è considerata una caratteristica femminile e i maschi vengono educati a nascondere debolezze e vulnerabilità. L’origine psicoemotiva di questa paura va ricercata nella pressione cui sono sottoposti i bambini a distanziarsi precocemente dal corpo della madre: questo genera un conflitto e un’impasse perenne con il corpo della donna, uno scontro costante tra il naturale bisogno di accudimento e la paura di essere umiliati. Questa paura dell’intimità ha quindi origine dalle relazioni emotive disfunzionali tra genitori e figli, che può essere definito come attaccamento disfunzionale.

I giovani maschi affetti dalla centerfold syndrome sono convinti che la virilità e strettamente dipendente dal numero di donne con cui si sono avuti rapporti sessuali; l’aggressività e la competitività sessuale dominano sulle relazioni intime, sull’empatia, sulle capacità di supportare gli altri. Alla fine questo tipo di sessualità aggressiva e dominante soffoca e sostituisce i bisogni profondi e veri. Ma il problema maggiore nasce dal fatto che molti adolescenti maschi, a livello inconscio, si sentono inadeguati e impotenti e sviluppano una forte rabbia per questo potere che le donne attribuiscono nel convalidare la propria mascolinità. Si tratta purtroppo di un disturbo narcisistico di personalità: il trofeo in realtà non gratifica e lascia delusi con la passione sostituita dalla vendetta.

Dal punto di vista psicodinamico è la riproduzione del rapporto antico con una madre seduttiva e abbandonica. Poiché ci si è distaccati precocemente dalla madre si rimane nella perenne impasse tra attrazione e paura. Questo bisogno irrisolto può essere mascherato e negato solo usando la corazza della mascolinità: si mostrano i muscoli, veri o simbolici, si negano le debolezze e si nascondono le fragilità. Se cerco di spingere una palla sotto il pelo dell’acqua, più la spinta sarà forte più la palla tenderà a rimbalzare verso l’alto e a colpirmi il viso !

Photo by Henry Hustava on Unsplash

Le “carezze” cioè la fame di  stimoli affettivi e sociali

Le “carezze” cioè la fame di stimoli affettivi e sociali

L’uomo ha bisogno di stimolazioni fin dalla nascita: i neonati che non ricevono stimolazioni fisiche vanno incontro a deterioramento fisico, a malattie e anche alla morte. Negli anni 40 René Spitz descrisse l’importanza delle stimolazioni per la sopravvivenza dell’uomo sottolineando come l’assenza di stimoli nei neonati degli orfanotrofi producesse danni irreversibili sia sullo sviluppo del corpo che su quello della mente. Eric Berne affermava che la mancanza di stimoli emotivi e sensoriali produce un effetto a catena che può culminare nella morte; cioè, per la sopravvivenza dell’uomo la fame di stimoli ha la stessa importanza della fame di cibo.

La fame di stimoli è così importante che è preferibile una stimolazione spiacevole rispetto all’assenza completa di stimoli. Quindi l’uomo per sopravvivere deve soddisfare sia i bisogni fisici (fame, sete, freddo, etc) sia quelli socio-affettivi.

Qualsiasi atto che comporti il riconoscimento della presenza dell’altro è definito nel modello teorico dell’analisi transazionale come carezza. Nei primi mesi di vita il bambino ha una grande fame di carezze soprattutto fisiche senza le quali può ammalarsi e morire. In condizioni di normalità il bambino crescendo aggiunge alle carezze fisiche quelle sensoriali e di riconoscimento e in questo processo evolutivo l’ambiente, costituito principalmente dai genitori, ricopre un ruolo fondamentale. Se l’ambiente sarà disposto ad accogliere i bisogni del bambino con una risposta adeguata, il bambino imparerà a riconoscere questi bisogni, ad esprimerli liberamente e a far si che possano essere soddisfatti. Se invece l’ambiente svaluterà questi bisogni , squalificandoli, sminuendoli e non dando risposta, il bambino imparerà a reprimere i bisogni o a esprimerli in modo distorto.

Le carezze che si ricevono dai genitori quindi, cioè le risposte che i genitori forniscono alle richieste di soddisfazione dei bisogni del bambino, costituiscono un potentissimo strumento di riconoscimento e quindi di rinforzo positivo o negativo delle strutture di personalità che si formano nei primi anni di vita. Le carezze possono essere metaforicamente paragonate ai nutrienti essenziali (ad esempio le vitamine) la cui presenza o assenza determina l’evoluzione e la crescita nella struttura della persona.

Se l’ambiente, cioè i genitori, è più favorevole a fornire carezze negative rispetto a quelle positive, il bambino si accontenterà delle prime e userà i comportamenti utili per riceverle. Ad esempio, un bambino che si sente ignorato e percepisce le attenzioni dei genitori solo quando combina qualche guaio, per essere riconosciuto, anche se attraverso carezze negative, impara a combinare guai e in questo modo soddisfa la sua fame di riconoscimento. Lo stesso può accadere se l’unico modo per essere accuditi è ammalarsi: si impara ad utilizzare le malattie come strumento per ottenere riconoscimento e affetto.

Durante lo sviluppo psico-evolutivo il bambino modifica, integra e aumenta il suo bisogno di carezze passando dalle carezze incondizionate (cioè per l’essere) e prevalentemente fisiche a quelle condizionate (cioè per il fare) e verbali che siano in grado di riconoscere le sue capacità e il funzionamento del suo pensiero all’inizio solo intuitivo ed analogico ma successivamente logico e razionale.

In qualsiasi momento evolutivo le carezze incondizionate sull’essere sono un’esigenza primaria. Le carezze incondizionate sono rivolte a caratteristiche naturali della persona che non deve fare nulla per riceverle cioè sono dirette ad attributi naturali che non possono essere acquisiti (maschio, alto, bruno, bello, con gli occhi chiari, etc). Poiché le persone non hanno scelte riguarda questi attributi, le carezze incondizionate vengono vissute in maniera molto intensa.

Tuttavia la maggior parte delle carezze sono dirette al fare e sono condizionate dal comportamento delle persone. Le carezze condizionate, sia positive che negative, sono spesso utilizzate per influenzare le azioni delle persone e per fornire riscontro. Quando vengono utilizzate in modo appropriato e coerente, le carezze condizionate sono un potente strumento con cui le persone sane e adeguate apprendono nuovi comportamenti.

Le persone cercano carezze con modalità diverse; quantitativamente, probabilmente il bisogno di carezze è uguale per tutti. Esistono differenze legate ai tratti di personalità e differenze legate ai livelli esistenti di benessere economico, alle abitudini culturali ed educative. L’educazione da parte dei genitori ha un effetto determinante sulle modalità con cui le persone cercheranno carezze nella loro vita. Io sono ok-tu sei ok implica che nessuno è inferiore, che tutti hanno diritto ad avere un trattamento pari ad ogni altro e a vedere soddisfatte le proprie esigenze, incluso il bisogno innato di carezze. Purtroppo questo non avviene sempre. La maggior parte delle persone si comportano come se le carezze fossero un bene raro e quindi come se gli altri fossero dei concorrenti o dei nemici che causano una restrizione nella disponibilità di carezze. Quando la disponibilità di carezze è limitata, l’uomo mette in atto delle strategie particolari per gestire il suo patrimonio di carezze in modo da essere sempre nelle condizioni di soddisfare il proprio bisogno di stimoli.

Oltre agli stimoli che giungono dalle altre persone e dal mondo esterno (Carezze esterne) le persone possono accarezzarsi anche con i ricordi, con le fantasie o con una sensazione interna (Carezze interne). Le carezze interne svolgono la stessa funzione di allentamento della tensione, di allontanamento da situazioni percepite come pericolose e di mantenimento dell’equilibrio interno. Si ricorre alle carezze interne ogni qualvolta la realtà, o la nostra percezione di essa, ci propone una carenza di carezze esterne.

Le carezze negative sono molto più potenti di quelle positive: basti pensare che si può urlare e dare sfogo alla rabbia gridando e pestando i piedi con forza mentre l’amore non può essere espresso con altrettanta forza. A questo si aggiunge il fatto che l’uomo è psicologicamente strutturato in modo tale che le carezze negative hanno un impatto più forte. Ciò è legato al nostro istinto di sopravvivenza che prevede una reazione agli stimoli negativi più potente rispetto alla reazione agli stimoli positivi.

Capire, prevenire e cambiare i comportamenti con l’analisi delle transazioni

Capire, prevenire e cambiare i comportamenti con l’analisi delle transazioni

L’analisi transazionale è una teoria della personalità, una metodologia per analizzare il comportamento delle persone e un tipo di psicoterapia.

Il termine ”analisi transazionale” deriva dall’aspetto centrale di questa impalcatura teorica, cioè l’analisi delle transazioni che possono essere definite come gli scambi relazionali tra le persone, cioè le manifestazioni esterne del rapporto sociale. Eric Berne definì la transazione come ”l’unità del rapporto sociale” e la indicò come uno scambio di carezze tra due persone in cui una ha funzione di stimolo mentre l’altra di risposta. Va chiarito che il termine carezza, generalmente inteso nel senso di un intimo contatto fisico, è qui riferito a qualunque atto che comporti il riconoscimento della presenza di un’altra persona. In questo senso le carezze sono l’unità fondamentale del rapporto sociale. Una conversazione, quindi, è costituita da una serie di transazioni collegate tra loro.

Attraverso l’analisi delle transazioni è possibile capire come funzionano le persone, prevenire comportamenti disfunzionali e indurre cambiamenti. Le persone infatti esprimono le proprie convinzioni su se stesse, sugli altri e sulla realtà attraverso il comportamento e la comunicazione.

Le transazioni si svolgono tipicamente a catena: parte uno stimolo che sollecita una risposta che a sua volta diventa uno stimolo di ritorno. Sia lo stimolo che la risposta possono essere sia comunicazioni (verbali e non verbali) oppure comportamenti.

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

 

Quando si inizia una transazione o si risponde uno stimolo che proviene da un’altra persona, esistono varie opzioni relativamente agli Stati dell’Io che vengono utilizzati da chi trasmette lo stimolo e da chi lo riceve.Lo stimolo è generato da un determinato stato dell’Io di chi trasmette e provocherà la risposta di uno dei tre stati dell’Io di chi riceve. Tanto più persona e sana tanto più può utilizzare liberamente i propri stati dell’Io e scegliere il tipo di transazione. In realtà, sia lo stimolo che la risposta possono provenire da due Stati dell’Io nel caso in cui il messaggio che viene inviato contenga sia una componente esplicita-sociale che una componente ulteriore/ psicologica. (vedi avanti transazioni ulteriori)

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

La rappresentazione grafica delle transazioni prevede dei semplici vettori con linea continua (messaggi sociali) o tratteggiata (messaggi psicologici)

Stimolo/risposta AT - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

La direzione dei vettori e il numero di stati dell’Io coinvolti nella transazione determinano tre tipologie principali di transazione.
1.Transazioni complementari: i vettori di stimolo e risposta sono paralleli e provengono da stati dell’Io uguali o complementari; le caratteristiche delle transazioni complementari sono tre:

  1. la risposta deriva dallo stesso stato dell’Io a cui lo stimolo è stato diretto
  2. la risposta torna allo stesso stato dell’Io che ha fatto partire lo stimolo
  3. il livello verbale/sociale/esplicito del messaggio è congruente con quello non verbale/psicologico/implicito

Ecco alcuni esempi:

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: richiesta di dati reali – Risposta:  invio di dati reali

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: Emozione spiacevole (paura) – Risposta: giudizio critico

Transazione complementare - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: emozione piacevole (gioia) – Risposta:  emozioni piacevole (gioia)

Nelle transazioni complementari spesso la risposta è soddisfacente poiché proviene dallo stesso stato dell’Io da cui è partito lo stimolo o da uno stato dell’Io complementare; questa “soddisfazione” nella transazione fa sì che essa possa teoricamente prolungarsi con la ripetizione di stimoli e risposte complementari. Si intende qui per soddisfazione una condizione di appagamento di aspettative sia piacevoli che spiacevoli, in assenza di incognite e reazioni poco conosciute. In altre parole: le persone si scambiano “carezze”, sia positive che negative, ottenendo rinforzi e conferme, sia positivi che negativi. 1^ regola della comunicazione: nelle transazioni complementari lo scambio può teoricamente prolungarsi all’infinito.

2.Transazioni incrociate: la risposta proviene da uno stato dell’Io diverso da quello sollecitato e sono coinvolti più Stati dell’Io; conseguentemente i vettori si incrociano. Ecco alcuni esempi:

Transazione incrociata - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: Giudizio critico negativo – Risposta:  analisi di realtà

Transazione incrociata - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Stimolo: richiesta di dati – Risposta:  Giudizio critico negativo

Nelle transazioni incrociate la “soddisfazione” delle parti non si realizza in quanto la risposta proviene da uno stato dell’Io diverso e non complementare: le aspettative non vengono rispettate, succede qualcosa di non previsto e sconosciuto; questo fa sì che la transazione tende a concludersi e la comunicazione a interrompersi. Questa caratteristica delle transazioni incrociate può essere utilizzata in modo volontario quando si intende interrompere una comunicazione disfunzionale e non piacevole. 2^ regola della comunicazione: nelle transazioni incrociate lo scambio tende a interrompersi e/o inizia una comunicazione su qualcosa di diverso.

3. Transazioni ulteriori: contengono un doppio messaggio: quello sociale, esplicito e quello psicologico, non esplicito non congruenti. Il messaggio sociale è ciò che la persona apparentemente sta comunicando mentre quello psicologico è ciò che la persona vuole comunicare in modo sottinteso e spesso non consapevole. La componente psicologica è generalmente veicolata utilizzando gli aspetti non verbali della comunicazione e/o comportamenti. Ecco alcuni esempi:

Transazione ulteriore - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Apparente domanda su dati reali con implicito (nascosto) tentativo di convincere

Transazione ulteriore - Alessandro Barelli Psicoterapeuta - okness.it

Apparente domanda su dati reali con implicito (nascosto) giudizio critico negativo

Nelle transazioni ulteriori si evidenzia la 3^ regola della comunicazione: quando il messaggio sociale e quello ulteriore non coincidono l’esito della transazione è  determinato dalla componente psicologica implicita a causa della maggiore potenza della comunicazione non verbale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il copione della vita: decisioni di sopravvivenza fin dai primordi

Il copione della vita: decisioni di sopravvivenza fin dai primordi

Decidere significa fare una scelta o arrivare ad una conclusione: la parola decisione è largamente usata in analisi transazionale. Le persone decidono qualcosa in risposta a stimoli ambientali o interni; quelle del “qui e ora” sono prese per risolvere problemi spesso banali e quotidiani e poco incidono sul nostro comportamento e sulla nostra personalità: “non so se andare al cinema o andare in bicicletta….domani piove…meglio andare in bicicletta oggi”.

Esistono invece delle decisioni (con la D maiuscola) che vengono prese in risposta a situazioni importanti e che possono condizionare la nostra vita, che causano dei modelli stabili di comportamento. Queste scelte possono essere compiute in modo consapevole o inconsapevole e si tratta spesso di decisioni di sopravvivenza per far fronte a problematiche ambientali.

Per “sopravvivere” in età infantile a problemi ambientali molto più grandi dei bambini occorre spesso svalutare (reprimere, ignorare, nascondere) bisogni, esigenze e sentimenti che invece vorremmo manifestare e praticare.

Pallina ha 4 mesi e quando sente lo stimolo della fame piange: non c’è altro modo per attirare l’attenzione della madre e ottenere il latte; la mamma di Pallina è stata molto provata dalla gravidanza e ancora non ha recuperato la fatica e le privazioni che ha comportato soprattutto in campo lavorativo; non ha ancora ripreso a lavorare ma vuole studiare per tentare un avanzamento di carriera. Quando Pallina piange e deve prendersi cura di lei si infastidisce perché deve interrompere lo studio; cerca di risolvere il problema nel minor tempo possibile e a volte non riesce a trattenere malessere e rabbia e inveisce contro Pallina. Pallina impara presto che quando ha fame e piange la mamma si arrabbia e diventa aggressiva e crede di poter morire a causa di questo; decide allora di reprimere e di non sentire la fame perché in quel modo la mamma è tranquilla e non si arrabbia. Pallina impara che se si manifestano i propri bisogni i grandi si arrabbiano ed è meglio negarli. Da adulta ignorerà i propri bisogni e le proprie emozioni per compiacere gli altri e per paura di essere aggredita.

Se queste decisioni infantili (decisioni di copione) vengono rafforzate e ripetute diventano parte di un sistema di risposte stabili e ripetute, di una sorta di commedia che si recita per sopravvivere al mondo, una commedia con un copione stabilito.

Le decisioni di copione sono la struttura dei sentimenti e dei comportamenti non piacevoli, sgraditi, dolorosi, negativi, pessimisti, distruttivi… in una parola …Non OK.

Il copione è quindi il piano di vita personale che ciascun individuo decide in giovane età in risposta alla sua interpretazione degli avvenimenti sia esterni che interni.

Le decisioni di copione possono essere prese a qualsiasi età: minore è l’età maggiore è l’importanza delle conseguenze di tali decisioni e più difficile sarà ricostruirle ed eventualmente abolirle e pensare/agire in modo diverso. Le più importanti decisioni che determinano la struttura fondamentale del carattere di una persona vengono presi di solito all’età di due o tre anni. Altre decisioni importanti si verificano generalmente intorno a sei anni, altre ancora nell’adolescenza e anche più tardi.

E’ evidente che si possono ricordare facilmente decisioni prese in tarda infanzia o adolescenza mentre è molto difficile, anche con l’aiuto della psicoterapia, avere coscienza di decisioni prese prima dei 3 anni. Riconoscere che abbiamo deciso parti primarie del nostro piano vita all’età di 2 anni può essere sorprendente e impaurente soprattutto a causa del diffuso preconcetto che l’infanzia è periodo idilliaco con scarsa consapevolezza di problemi, conflitti, mancanze.

Nella realtà, invece, sappiamo sempre di più delle competenze del neonato e del feto: lo stesso Freud ipotizzava che i nostri principali modelli di difesa si formano nella vita intrauterina.

Per capire fino in fondo questo, occorre per prima cosa abolire il preconcetto della inconsapevolezza dei neonati e degli infanti.

Il bambino appena nato e in grado di reagire a quanto si verifica intorno a lui. Michael Lewis dice che: “ un bambino è un elaboratore altamente sofisticato di informazioni che in età estremamente precoce conosce qualcosa di ciò che è e di ciò che può fare”.

  • Un bambino di quattro settimane collega il volto della madre alla sua voce e inizia a distinguere tra lei il padre e gli estranei.
  • Un bambino di sei settimane ride spontaneamente e/o in risposta a stimoli esterni.
  • Un bambino di dodici settimane capisce se la madre sta parlando a lui o ad altri.
  • Un bambino di tre mesi riconosce gli oggetti che non gli sono familiari e può avere timore degli estranei.
  • Un bambino di tre mesi impara a condizionare il comportamento della madre: piange se vuole mangiare o se vuole essere cambiato o se vuole essere toccato e preso in braccio. Se la mamma distoglie lo sguardo da lui si agita e piagnucola finchè la madre non si occupa nuovamente di lui.
  • Tra i 9 e i 12 mesi comincia ad avere consapevolezza di chi è (senso del sé) come persona separata dalla madre e tra i 15 e i 18 mesi la sua auto-identità è discretamente determinata.
  • Entro i 2 anni hanno un’idea ben definita del loro sesso.

Quindi: fin dai primi giorni di vita i bambini gestiscono e archiviano dati e prendono decisioni di primaria importanza per la loro esistenza e per i modelli fondamentali della loro personalità.

Fortunatamente, quello che è stato deciso una volta (là ed allora) e che ha condizionato inconsapevolmente il nostro modo di essere e di fare, può essere riconosciuto, compreso, accettato ed eventualmente ri-deciso (qui ed ora)

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Dimmi come usi il cellulare e ti dirò chi sei

Dimmi come usi il cellulare e ti dirò chi sei

Il modo di comunicare e di relazionarsi condiziona da sempre il successo di una relazione sentimentale. Le similitudini di valori e attitudini nella comunicazione giocano infatti un ruolo primario per la soddisfazione del rapporto. Livelli simili nella coppia di capacità di supporto, di conforto, di gestione dei conflitti e intelligenza emotiva predicono un buon livello di soddisfazione della relazione.

Uno studio recentissimo comparso su Computers in human behavior  evidenza che il successo delle relazioni sentimentali è prevedibile e correlato ad alcuni aspetti dei messaggi digitali inviati con lo Smartphone come la frequenza dei messaggi, il modo di salutare, la velocità di risposta. Quando la coppia percepisce similitudini in questi parametri sembra che le probabilità di una relazione duratura e felice aumentino.

L’uso dei messaggi digitali è una realtà pervasiva della nostra società; il 98 % dei giovani americani (18-29 anni) possiede uno Smartphone, il 79 % dei possessori di Smartphone usa i messaggi, gli studenti prima della laurea spendono in media 90 minuti al giorno leggendo e inviando messaggi. Quindi c’era da aspettarsi che anche il successo di coppia sia ormai affidato a come usiamo il cellulare.

A rendere la cosa ancora più significativa, o inquietante, c’è il dato che le somiglianze nel messaggiare influenzano la “prognosi” della coppia al di là di altre variabili fondamentali come gli stili di attaccamento, il sesso e la durata della relazione. Per fortuna lo studio ha delle importanti limitazioni data la preponderanza di donne e di persone eterosessuali.

Insomma dipendiamo sempre di più dal cellulare e dal web e la “relazione” con il cellulare è diventata primaria e insostituibile; è sufficiente dare uno sguardo sui tavoli di un ristorante e vedere ognuno con la sua “arma” appoggiata sul tavolo pronta per essere usata.

E a proposito di stili di attaccamento…quanto siamo attaccati al nostro cellulare ? quanto dipendiamo dal cellulare ? L’attaccamento al cellulare riflette il nostro stile di attaccamento e sostituisce la coperta di Linus ? Più che predire il successo di un rapporto amoroso, l’uso che facciamo del nostro telefonino parla di noi e può aiutare a capire gli altri.

Ringraziamenti: Luca Sancricca per un suo recente post su LinkedIn che ha stimolato queste riflessioni

La competizione favorisce l’apprendimento e lo sviluppo professionale ?

La competizione favorisce l’apprendimento e lo sviluppo professionale ?

Esistono in Italia recenti esempi di competizioni tra pari utilizzate in contesti educativi e di addestramento alle abilità tecniche in ambito sanitario come la SimCup organizzata dal Sim Center di Novara e la Skill Competition nell’ambito del 71° Congresso Nazionale SIAARTI.

  1. Mettere in competizione le persone favorisce o ostacola la ritenzione delle competenze e delle abilità ?
  2. Il team-work migliora se si stimolano i componenti del gruppo a competere tra di loro ?
  3. E’ preferibile stimolare lo spirito collaborativo piuttosto che quello competitivo ?

Non condanno lo spirito competitivo in se ma stresso l’importanza dello spirito di collaborazione che deve poter mitigare l’asprezza degli ambienti eccessivamente competitivi dove si compete contro gli altri e non con gli altri.

Quindi la competizione, soprattutto se utilizzata in ambito formativo, deve essere posizionata con forza in un contesto collaborativo che consenta alle persone di lavorare insieme, di aiutarsi e di compensare le debolezze altrui.

“Guarda alla tua sinistra, guarda alla tua destra: uno di voi due non sarà qui l’anno prossimo.” Questa frase intimidatoria è utilizzata come messaggio di saluto per gli studenti della Harvard Law School nel film Esami per la vita. L’esplicito della frase recita che per avere successo nella scuola occorre lavorare duro. Il messaggio non detto è che il tuo successo dipende dal fallimento di qualcun altro.

In una competizione qualcuno perde se c’è qualcuno che vince e quindi per raggiungere il proprio successo si negano informazioni che possano aiutare gli altri e si rifiuta l’aiuto se qualcuno lo chiede. Tutto ciò blocca il team-work anzi è l’antitesi del team-work. Salvare se stessi è il principale obiettivo.

Nell’organizzazioni, anche se i leader non disegnano in modo esplicito un ambiente da gioco vincita/perdita, la mentalità competitiva è lo standard più diffuso per i professionisti che tendono al successo. La conseguenza non voluta è una mentalità che vede il successo come un gioco a somma zero, dove il mio successo dipende dal tuo fallimento. Il focus diventa “come sto facendo in confronto con gli altri” e la gestione delle apparenze domina sull’apprendimento e sul lavoro di squadra. Organizzare competizioni a premi in ambito educativo presuppone dei vincitori e dei perdenti. Che ne sarà dell’apprendimento, del cambiamento e dell’autostima dei perdenti ?