Le 3 personalità dentro di noi

Le 3 personalità dentro di noi

Durante gli studi iniziali in cui Eric Berne elaborò l’Analisi Transazionale egli osservò che le persone, quando le osserviamo e quando le ascoltiamo, possono cambiare a vista d’occhio. È un cambiamento che riguarda l’espressione del volto, le parole, i gesti, la postura e anche le funzioni fisiche ad esempio può apparire un arrossamento del volto oppure può aumentare la frequenza cardiaca o la frequenza respiratoria.

L’individuo che va incontro a tali mutamenti rimane sempre la stessa persona dal punto di vista fisico quindi che cosa sta succedendo ?

Mi ricordo una paziente che venne da me in quanto oppressa da una grave forma di insonnia e dalla costante preoccupazione di non svolgere bene il suo ruolo genitoriale.

Durante la prima seduta mi racconta in modo sereno e realistico le motivazioni che l’avevano spinta a chiedere l’aiuto di uno psicoterapeuta: “l’assenza di sonno soddisfacente mi mette sempre più in difficoltà e credo di poterla collegare al fatto che non sono sicura di svolgere in modo ottimale il mio ruolo di mamma”

Ad un certo punto improvvisamente scoppia piangere con voce e comportamenti come quelli di una bambina: “lei mi fa sentire come se avessi tre anni“. Le chiedo cosa fosse accaduto per farla sentire come una bambina ma lei risponde non lo so e aggiunge: “all’improvviso mi è sembrato di aver sbagliato tutto“. In seguito, sempre durante la stessa seduta, la voce e l’atteggiamento cambiano di nuovo improvvisamente e con tono critico e dogmatico mi dice: “tutto sommato, anche i genitori hanno i loro diritti e bisogna insegnare ai bambini a saper stare al loro posto

Nel giro di pochissimo tempo la donna aveva manifestato tre personalità diverse e distinte: un adulto razionale e consapevole, una bambina in preda ad emozioni forti, un genitore intollerante e critico.

Questi tre Stati dell’Io esistono in ogni persona: e come se ognuno di noi portasse in sé la personalità infantile (Bambino) di quando aveva due o tre anni e i propri genitori critici e normativi (Genitore). Si tratta di vere e proprie registrazioni a livello cerebrale di esperienze concrete di avvenimenti sia interni che esterni soprattutto risalenti ai primi cinque anni di vita. Il terzo stato dell’io (Adulto) è la parte di noi in contatto continuo con la realtà del qui ed ora.

È importantissimo sottolineare a questo punto che non stiamo parlando di ruoli ma di realtà psicologiche. Mentre il  Super-Io, Io e Es della psicanalisi sono concetti astratti, gli Stati dell’Io sono realtà fenomenologiche causate dal ri-ascolto di registrazioni di eventi accaduti in passato e riguardanti persone, tempi, luoghi, decisioni e sentimenti reali.

Lo sapevate che ……

Lo sapevate che ……

Nei 10 anni della pesante crisi finanziaria che ha scosso il pianeta (2008-2018) il numero di miliardari nel mondo è quasi raddoppiato ?

La ricchezza dei miliardari del mondo è aumentata di 900 miliardi di dollari nell’ultimo anno, cioè di 2,5 miliardi di dollari al giorno ?

La ricchezza della metà più povera dell’umanità, 3,8 miliardi di persone, è diminuita dell’11% ?

Lo scorso anno 26 persone possedevano la stessa ricchezza dei 3,8 miliardi di persone che costituiscono la metà più povera dell’umanità ?

L’uomo più ricco del mondo, Jeff Bezos, proprietario di Amazon, ha visto aumentare la sua fortuna a 112 miliardi di dollari ?

L’intero bilancio sanitario dell’Etiopia, un paese di 105 milioni di persone, ammonta a 1,12 miliardi di dollari, l’ 1% del capitale posseduto da Jeff Bezos ?

Se tutto il lavoro non retribuito svolto da donne in tutto il mondo fosse svolto da una singola azienda, avrebbe un fatturato annuo di 10 trilioni di dollari, 43 volte il fatturato di Apple ?

Questo e altro su: https://goo.gl/96bi9V     Oxfam International

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Mindfulness: ogni volta è sempre la prima volta

Mindfulness: ogni volta è sempre la prima volta

C’è una imminente occasione a Roma di scoprire, conoscere e praticare la mindfulness: il prossimo 22 Ottobre presso l’Associazione Spazio Vitale in via Angelo Poliziano 69 inizia un corso intensivo che ha l’obiettivo di utilizzare la mindfulness per ridurre lo stress psico-fisico (Mindfulness-Based-Stress-Reduction, MBSR). Per info e iscrizioni contattare la dott.ssa Neus Lopez Calatayud.

Ma cos’è la mindfulness ?

Non è facile spiegarlo. La parola inglese può essere tradotta come presenza mentale oppure consapevolezza oppure pienezza della consapevolezza della mente. Nessuna di queste traduzioni rende pienamente il senso profondo della mindfulness. Forse ci si avvicina di più utilizzando l’espressione originaria nella antica lingua pali: “sati” una condizione di consapevolezza non concettuale della mente e del cuore. Questo ci aiuta a vedere che non si tratta di qualcosa che riguarda esclusivamente il nostro cervello cognitivo, la nostra corteccia cerebrale, ma coinvolge altre sfere e piani psichici e corporei profondi.

La mindfulness è un modo di essere sostenuto da una attenzione non giudicante al qui ed ora, momento dopo momento. Essere attenti implica la potente capacità di controllare le distrazioni e le dispersioni che spesso ci impediscono di godere pienamente ogni singolo istante della nostra vita.

Prestare attenzione implica la piena consapevolezza e accettazione di ciò che stiamo vivendo. Questa modalità di essere attenti produce i suoi frutti se è focalizzata, cioè orientata in modo esclusivo su un determinato oggetto, rivolta al momento presente, cioè orientata in modo esclusivo al qui ed ora, non giudicante e categorizzante, cioè orientata in modo esclusivo all’esperienza presente evitando le categorie e i giudizi normalmente utilizzati per comprenderla.

Possiamo vedere e vivere la realtà per quello che realmente è senza distorcerla a causa di paure o bisogni. Ogni volta è sempre la prima volta.

Ho conosciuto la mindfulness grazie a Gherardo Amadei di cui serbo un ricordo indelebile e consiglio senza esitazione uno dei suoi libri:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La depressione può essere una malattia terminale ?

La depressione può essere una malattia terminale ?

Un ingegnere di Albavilla (Como) affetto da “depressione” ha nei giorni scorsi utilizzato il suicidio assistito che è attualmente disponibile in Svizzera. La Procura di Como ha aperto un fascicolo per sospetto reato di istigazione al suicidio. La stampa non specializzata è ricca di report sull’argomento e si chiede se la “depressione” può essere considerata una malattia terminale assimilabile a quelle condizioni “compatibili” con una richiesta di eutanasia e di suicidio assistito.

Il problema è naturalmente particolarmente sentito per gli addetti ai lavori (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri) per i quali la “depressione” è tra delle condizioni di malessere psichico più frequenti e significative.

Chi scrive non è in grado di fornire una risposta definitiva e supportata da evidenze alla domanda che i media si pongono ma ritiene estremamente utile chiarire alcuni punti che la maggioranza, se non totalità, dei report on line ignorano.

Partiamo dalla presenza delle virgolette sulla parola depressione, utilizzate più di una volta in questo post. I disturbi depressivi includono una varietà di condizioni psichiche anche molto diverse tra loro con diagnosi, terapia e prognosi diverse. Le scienze psicologiche hanno negli anni rivisto la classificazione dei disturbi depressivi a testimonianza che non siamo completamente consapevoli dei meccanismi profondi che causano la depressione e, quindi, è molto probabile che il futuro ci riserverà sorprese piacevoli in termini di terapia e di prognosi. Le neuroscienze progrediscono a velocità impressionanti e sappiamo oggi cose che solo 10 anni fa erano considerate appartenere alla fantascienza. Non conosciamo la tipologia della depressione che affliggeva il paziente di Como; per certo il pensiero suicidario era presente facilitato dal sapere che si può essere aiutati a morire evitando l’estremo atto autodistruttivo da porre in atto in autonomia e in solitudine. E’ quindi evidente che si trattava di un paziente grave.

Altro punto che colpisce è la frequenza del disturbo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la depressione colpisce 322 milioni di persone nel mondo e, quindi, è un’importante causa di disabilità planetaria, con un aumento del 18% di depressi stimato tra il 2005 e il 2015.

Altre ricerche epidemiologiche recenti mostrano che l’incidenza di stati depressivi è correlata anche con l’eventuale presenza di allergie alimentari o intolleranze come la celiachia. La depressione maggiore è attualmente la principale causa di malattia in Nord America e la quarta causa di disabilità in tutto il mondo. Nel 2030, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, prevede che possa essere la seconda causa di malattia in tutto il mondo dopo l’AIDS.

E’ giusto, etico, accettabile che organizzazioni con obiettivi di profit assistano il suicidio di pazienti depressi ? Dal 2002, l’anno in cui il Belgio ha legalizzato l’eutanasia, 8761 persone hanno deciso di morire in questo modo. Negli anni i criteri della legge sull’eutanasia si sono modificati fino a consentire la morte non solo delle persone gravemente malate e in fin di vita, ma anche di quelle che “soffrono in modo insopportabile”.

Cosa vuol dire “insopportabile” ? Chi valuta la “sopportabilità” ? Lo può fare il paziente stesso ? Quella di una persona depressa è una scelta libera o è dettata dall’umore ? La valutazione fatta da una persona esterna è attendibile ?

Sono domande difficili, che muovono la coscienza civile e morale e spaventano facendoci sentire la morte a portata di mano. Quante volte un paziente depresso può parlare di suicidio al suo terapeuta ? Quante volte lo stesso paziente può stare prima meglio, poi addirittura bene, aiutato dalla psicoterapia, dai farmaci e da un contesto di vita diverso ? Un dato di certezza assoluta è la volontà forte e costante da parte del terapeuta di aiutare il paziente a controllare e rimuovere le idee suicidarie per prevenire e impedire in suicidio. Sappiamo che i disturbi depressivi vanno incontro a variazioni di intensità e che le scelte fatte nei momenti “down” sono molto lontane da quelle possibili nei momenti buoni.

Lo stato depressivo è come un paio di occhiali scuri sempre presenti che impediscono di effettuare valutazioni attendibili del mondo esterno. La depressione è uno stato emotivo che di per sé non porta all’attendibilità. I terapeuti insegnano ai pazienti a prendere le distanze dalle proprie valutazioni, a non credere troppo ai loro pensieri che sono appunto frutto di una distorsione negativa e pessimista.

Nel massimo rispetto della libertà individuale, ricordiamo che la decisione di suicidarsi tramite l’eutanasia, è il frutto di un sistema di valutazione e decisione, contaminato e distorto da un paio di occhiali scuri. Questo ci permette di condannare, senza alcun “ma” o “però” chi assiste le richieste di suicidio assistito da parte di pazienti “depressi”; ci permette anche di tenere ben distinta la depressione da altre forme di malessere/malattia che, senza ombra di dubbio, possono portare l’uomo in una condizione di malessere insopportabile e di assenza di speranza.

Chi scrive non ritiene mai etico ed accettabile il suicidio assistito.

Tipi di psicoterapia

Tipi di psicoterapia

La Psicoterapia, intesa come terapia dei disturbi e del malessere della persona di origine psichica, cura attraverso la parola e la relazione. Per raggiungere questo scopo possono essere utilizzate varie metodologie e tecniche basate su teorie diverse. 

Esiste molta disinformazione su questi argomenti ed è invece importante capire differenze e analogie tra tipi di psicoterapia

Segue la descrizione di alcuni tipi (ne esistono altri) molto usati e storici.

La Psicoanalisi Freudiana

La psicoanalisi è una delle scienze che si sono via via differenziate dal corpus generale dello studio scientifico della mente. La sua differenziazione è avvenuta a cavallo tra gli ultimi due secoli ad opera di Sigmund Freud e può essere considerata precoce e distinta rispetto ad altre scienze psicologiche. E importante distinguere tra teoria e metodo in quanto la psicoanalisi non è la teoria elaborata da Freud per curare pazienti con disturbi psichici bensì un metodo. Si può dire che Freud sta alla psicoanalisi attuale come Galileo sta alla fisica moderna.

Il metodo psicoanalitico era inizialmente inteso per esplorare alcuni eventi psicopatologici; successivamente è stato affinato e ampliato con lo scopo più generale di studiare tutti i processi che regolano il comportamento delle persone. Questi processi vengono individuati e ricostruiti attraverso la narrazione messa insieme dall’analista e dall’analizzando. L’analizzando può esperire durante l’analisi i propri processi mentali che sono sottesi agli eventi che devono essere esplorati come se essi fossero stati e fossero coscienti. Ciò è quanto viene generalmente inteso con la proposizione “rendere cosciente l’inconscio”. In realtà, tutte le scienze psicologiche studiano la mente cioè studiano l’inconscio. Quello che caratterizza la psicoanalisi è il fatto che l’inconscio viene studiato attraverso l’osservazione- traduzione che passa attraverso la partecipazione del soggetto ed il suo racconto e alla fine formulata in termini narrativi, cioè, verbali; ossia come se quei processi che si vogliono indagare fossero stati esperiti dalla coscienza del soggetto e da questi riferiti. La coscienza, che è responsabile della formulazione verbale, è usata dalla psicanalisi pur essendo questa la prima scienza psicologica che della coscienza ha riconosciuto l’ingannevolezza. La specificità della psicanalisi quindi sta nell’aver individuato una serie di procedure adatte ad usare il filtro della coscienza del soggetto e al contempo decontaminarlo dalla sua ingannevolezza e mistificatorietà. Queste procedure sono basate sulla progressiva osservazione della relazione interpersonale tra analista e analizzato; la relazione è mediata dalla loro comunicazione (Verbale, metaverbale e non verbale) ed agli effetti di cambiamento che ha sull’analizzando.

Sigmund Freud è stato il fondatore della psicoanalisi e nel 1923 ne ha dato la seguente definizione:

La psicoanalisi è:

  • Un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere
  • Un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici
  • Una serie di conoscenze psicologiche acquisite che gradualmente si armonizzano e convergono in una nuova disciplina.

Ecco alcune scoperte fondamentali della psicoanalisi:

  • L’inconsapevolezza del sistema motivazionale che determina il comportamento delle persone
  • L’inganevolezza che il soggetto può ottenere alla introspezione
  • Le libere associazioni come chiave di interpretazione dell’inconscio
  • La contiguità tra processi psichici inconsci e eventi somatici
  • La resistenza con varie forme descritta come difesa
  • I processi di trasfert e controtransfer
  • Il setting visto come laboratorio per l’indagine
  • L’importanza della relazione tra analista e analizzando, attraverso la reciproca comunicazione inconscia, come fattore di cambiamento.

Complesso di Edipo, Super Io, pulsioni: ecco alcune formulazioni psicoanalitiche molto conosciute. Si tratta di teoria, concetti, modelli e hanno un valore strumentale limitato: le teorie non sono né vere le false ma possono essere più o meno utili allo sviluppo di una scienza e spesso vengono sostituite con teorie migliori. Le scoperte restano le teorie cambiano. La teoria freudiana, che è quella più conosciuta nel vasto pubblico, è solo una di quelle utilizzate dagli psicanalisti. Un altra teoria è quella di Melanie Klein.

La teoria freudiana è detta energetico-pulsionale poiché parte dal concetto di pulsione e ipotizza una concezione energetica in cui tutto il funzionamento mentale è spiegato attraverso una dinamica e una economia di flussi energetici (Libido).

La teoria di Melanie Klein, invece, parte dal concetto di soggetto interno e di fantasia e può essere definita come una teoria semantico-rappresentazionale: i processi mentali sono descritti attraverso una complessa rete di rappresentazioni e di significati.

(modificato da Novellino, Scegliere lo psicoterapeuta, come e quando, Franco Angeli/Le comete)

La psicologia analitica junghiana

SI tratta di una teoria psicologica e un metodo di indagine del profondo elaborato dall’analista svizzero Carl Gustav Jung e dagli allievi della sua scuola.

Si pensa erroneamente che la psicologia analitica di Jung sia derivata direttamente dalla psicoanalisi freudiana e che lo stesso Jung fosse allievo di Freud mentre invece Jung elaborò una propria visione dell’inconscio autonomamente da Freud.

I due collaborarono per alcuni anni ma nel 1913 si verificò una rottura mai ricomposta. In quell’anno, con la pubblicazione del libro “Libido. Simboli della Trasformazione”, Jung si distaccò da Freud sostenendo che la libido non è solamente energia sessuale, che mira a scaricarsi con il raggiungimento dell’oggetto desiderato, ma è invece l’energia psichica in toto; l’inconscio, inteso da Freud (almeno inizialmente) come mero ricettacolo del rimosso, è visto invece da Jung come una porzione della psiche che contiene altri contenuti che non sono mai stati parte della coscienza.

L’osservazione dei contenuti dei sogni, dei deliri psicotici, della mitologia e della storia delle religioni portò Jung a ipotizzare un ulteriore dimensione dell’inconscio che definì “inconscio collettivo“, i cui contenuti chiamò archetipi. Per la psicologia analitica junghiana, il processo di individuazione archetipica costituisce la finalità dell’esistenza di ogni persona.

La psicologia analitica junghiana segue nella propria indagine un metodo finalistico, il cui obiettivo è la ricerca del senso dei processi inconsci e della sofferenza psichica. Di fondamentale importanza è la teoria del simbolo, inteso da Jung come motore dello sviluppo psichico e strumento di trasformazione dell’energia psichica, originato dal confronto della coscienza con l’inconscio ed i suoi contenuti.

L’inconscio personale non è, come per Freud, il “luogo del rimosso”, cioè un contenitore psichico vuoto alla nascita, che man mano si popola di complessi causati da episodi traumatici infantili. Per Jung anzitutto l’inconscio non è “vuoto”, ma è il contenitore di forme archetipiche universali ereditarie, all’interno del quale si organizzano le esperienze individuali. Inoltre esso precede la formazione dell’Io cosciente, e contiene il progetto esistenziale dell’individuo che ne è portatore, qualcosa che fa pensare ad una sorta di codice genetico psichico.

Anche per Jung, come per Freud, l’inconscio non è direttamente osservabile ma solo attraverso l’analisi e il processo di individuazione.

Jung pensava che nel sintomo nevrotico come nel delirio psicotico affiorino immagini e idee che non sono proprie personali del paziente, ma che gli pervengono da un “fondo arcaico”, e le cui figure possono desumersi da culti, religioni e mitologie antichi appartenenti a tutti i popoli: sono gli archetipi, forme alla base dell’inconscio collettivo, condivise da tutta l’umanità, che costituiscono, nel campo psicologico, l’equivalente di ciò che in campo antropologico sono le “rappresentazioni collettive” dei primitivi, o, nel campo delle religioni comparate, le “categorie dell’immaginazione”.

La dinamica dualistica ed esclusiva tra Eros e Thanatos in cui Freud aveva individuato e confinato il motore energetico della nevrosi, in Jung si articola e si moltiplica in funzione della pluralità delle figure archetipiche che popolano l’inconscio.

Il sintomo non richiede più una spiegazione in chiave di causa-effetto, ma viene considerato esso stesso una “domanda di significato” rispetto al disagio soggettivo che esprime.

Il disturbo psichico smette così di essere considerato una malattia, e l’intervento analitico non viene più considerato solo una “cura”; ne consegue che la pratica psicologico-analitica junghiana non mira più ad una “guarigione”, ma ad individuare il senso simbolico e archetipico del disturbo, e ad aiutare il suo portatore ad utilizzarne l’energia ai fini della “trasformazione” e della propria individuazione.

Lavorare con gli archetipi richiede certamente molte conoscenze di tipo non clinico, perché richiede anche molta immaginazione e accompagnare il paziente in questa esplorazione richiede da parte del terapeuta un’attenzione non solo intellettuale, ma anche empatica. E’ quindi  evidente che, nell’analisi junghiana, la psiche del terapeuta è “messa in causa” dall’analisi non meno di quella del paziente. Da questo punto di vista, la teoria della tecnica junghiana ha prefigurato alcuni dei più recenti sviluppi della psicoanalisi intersoggettiva.

La psicoterapia  analitico-transazionale

L’analisi transazionale (AT) nasce negli anni 50 ad opera dello psichiatra Eric Berne che sviluppò un modello di personalità, di comportamento umano e di relazioni basato sull’equilibrio tra tre diversi sistemi di interpretazione e reazione: gli stati dell’Io. Si tratta di esperienze vissute in piena consapevolezza e che si formano sia in risposta ai vissuti dell’infanzia (là ed allora) che a quelli del momento presente (qui ed ora).

Berne formulò la sua teoria in modo semplice e quindi facilmente comprensibile con l’obiettivo di rendere accessibile a chiunque una lettura di se stessi e degli altri chiara, profonda e non invasiva allo stesso tempo. Differenziandosi in modo netto da Freud, secondo il quale Es e super-Io non sono osservabili direttamente ma valutabili solo dopo l’analisi dell’inconscio, Berne affermò che gli Stati dell’Io sono osservabili direttamente come comportamenti, emozioni, pensieri e modalità relazionali.

Gli altri due concetti teorici fondamentali su cui è basata la psicoterapia analitico transazionale sono i giochi e il copione. I giochi psicologici sono le comunicazioni e i comportamenti tra le persone in risposta a stimoli inconsapevoli derivanti da esperienze e decisioni infantili. Si tratta di situazioni sempre spiacevoli per i “giocatori” che pensano e agiscono senza consapevolezza sulle reali motivazioni. Il copione è il piano di vita che ciascuno di noi mette in atto in età infantile per sopravvivere, sia psicologicamente che fisicamente, alle difficoltà ambientali e relazionali.

Il metodo psicoterapeutico che deriva dal modello AT è basato sull’analisi degli Stati dell’Io (interna e nelle relazioni), dei giochi e del copione. Il metodo classico Berniano consiste nell’attivare progressivamente lo Stato dell’Io Adulto decontaminandolo dalle influenze inconsapevoli sia del Bambino che del Genitore; successivamente si passa a “deconfondere” lo Stato dell’Io Bambino portando alla coscienza sia i giochi che il copione di vita. Tali analisi partono dall’osservazione delle dinamiche tra terapeuta e paziente o tra pazienti di un gruppo.

Altri aspetti metodologici della psicoterapia analitico transazionale sono l’impostazione di tipo contrattuale e la ricerca obbligata dell’alleanza terapeutica in cui terapeuta e paziente concordano su metodi e obiettivi.

I disturbi che rispondono bene alla psicoterapia AT sono quelli dell’umore (depressione), i disturbi d’ansia (paure, fobie, attacchi di panico), i disturbi generali di personalità. Rispondono male, e sono quindi da considerarsi una controindicazione, i disturbi del pensiero (psicosi acuta) e le tossicodipendenze.

Scegliere il terapeuta

Scegliere il terapeuta

Prima del primo colloquio

I paragoni con altri tipi di scelta sono utili e inappropriati allo stesso tempo: anche nell’ambito sanitario, lo psicoterapeuta è uno specialista con caratteristiche e competenze molto diverse da un chirurgo o da un endocrinologo; lo psicoterapeuta è maestro delle abilità non tecniche, relazionali, comportamentali e la relazione con il paziente sarà esclusivamente psichica e di linguaggio.

Non è possibile fornire “linee guida” basate su evidenze mentre è utile sottolineare alcuni aspetti della scelta:

  • attenzione ai nominativi pubblicizzati soprattutto nella rete: diffidare sempre di persone che non dichiarano, in modo chiaro e controllabile, i loro titoli e le loro competenze; chiunque può acquistare e gestire un sito e nessun controllo di qualità è previsto in modo sistematico e costante
  • attenzione massima alle persone conosciute attraverso le trasmissioni televisive: essere chiamati a partecipare ad un talk show non comporta necessariamente competenza e professionalità; al contrario, gli ospiti delle trasmissioni e i così detti esperti sono reclutati mediante conoscenze e passa parola.
  • tenere in buona considerazione i terapeuti che hanno condotto con successo terapie con persone che ne sono rimaste pienamente soddisfatte
  • tenere in buona considerazione nominativi forniti da specialisti (psicologi, psichiatri) che conoscano personalmente il terapeuta
  • tenere in buona considerazione nominativi forniti dalle Scuole di Specializzazione e dalle associazioni riconosciute e qualificate.

Elementi Ok di un terapeuta

  • Laurea in Medicina e Chirurgia o in Psicologia
  • Iscrizione all’Ordine dei Medici o degli Psicologi
  • Svolge colloqui di orientamento (2 o 3) prima di prendere “posizione”
  • Informa il paziente in modo chiaro su quello che è meglio per lui (psicoterapia, farmaci, entrambi)
  • Imposta il rapporto in modo discreto e professionale
  • Informa il paziente in modo chiaro sui termini e le modalità dell’impegno da parte sua

Naturalmente, questi non devono essere considerati elementi che, se presenti, garantiscono il risultato ! Nessuno può garantire il risultato perchè anche il terapeuta più competente e esperto non potrà nulla in assenza di lavoro attivo del paziente (cosa non prevedibile all’inizio)

Elementi NON Ok di un terapeuta

  • fornisce risposte evasive e vaghe alle richieste sulla natura dei problemi e sui risultati che ci si possono aspettare, come se il terapeuta non volesse impegnarsi nè compromettersi
  • è eccessivamente sicuro e deciso sui risultati con guarigione scontata e sicura
  • è eccessivamente confidenziale (passa al “tu” facilmente) e assume un ruolo di “amicone” di cui ci si può sicuramente fidare
  • fa il nome di altri pazienti
  • fa capire o dice che la relazione avrà delle appendici extra-seduta:  “….magari una sera ci mangiamo una pizza insieme…..”
  • svaluta e critica altri colleghi o altri tipi di psicoterapia: il professionista serio non giudica senza conoscere in prima persona e rispetta il lavoro degli altri
Posizioni esistenziali

Posizioni esistenziali

Come ci poniamo rispetto alla vita ? Come vediamo noi stessi e come vediamo la nostra esistenza ? Come vediamo noi stessi rispetto agli altri ? Come vediamo l’esistenza e la vita degli altri ?

Per cercare di rispondere a queste domande e avere dei modelli semplici con cui le persone e i comportamenti si possano classificare e quindi capire, l’analisi transazionale individua quattro possibili posizioni esistenziali ” che le persone attivano nella vita.

La decisione di assumere una determinata posizione è presa in epoca antica, nella nostra prima infanzia in risposta agli stimoli ambientali che riceviamo. I genitori e tutte le altre figure di attaccamento determinano la soddisfazione o insoddisfazione dei nostri bisogni e su queste basi prendiamo decisioni sul nostro valore, sul valore degli altri e sulla vita in genere e scegliamo quale copione recitare sul palcoscenico della nostra vita presente e futura.

Le “posizioni esistenziali” descrivono come una persona vede sé e gli altri e influenzano di conseguenza il modo secondo il quale ciascun individuo pensa, agisce ed entra in rapporto con l’altro.

La relazione ha due poli: l’individuo e l’altro, che può essere sia una persona che una situazione, e ciascuno dei due poli può essere vissuto come positivo o negativo.

Io sono OK – Tu sei OK  (Sano e costruttivo)

E’ la posizione nei confronti della vita positiva, ottimista,  concreta e “problem solving”. L’altro è una risorsa che viene accettata e con cui si può collaborare. Non scarico sull’altro le responsabilità o, al contrario, non colpevolizzo me stesso per ciò che non è andato a buon fine.

Ci si sente uguale nella differenza: io sono ok come te, pur essendo diverso da te che sei ok. C’è un atteggiamento di ascolto autentico per capire il punto di vista dell’altro e integrare su questo aspetto più approcci differenti necessari alla ricerca in comune di una soluzione.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • non giudicano e accettano gli altri
  • hanno una buona autostima
  • sono assertivite e fiduciose
  • ascoltano e comunicano in modo diretto, chiaro, spontaneo
  • hanno aspettative realistiche da sé e dagli altri
  • sono flessibili
  • sono comprensive, tolleranti, disponibili
  • non nascondono le emozioni
  • sono ottimiste e tendono a risolvere il problemi

Io sono OK – Tu non sei OK (Paranoide o Proiettivo)

Svaluto l’altro e  supervaluto me stesso: la persona si relaziona attraverso il dominio el’esibizione di sé con un comportamento aggressivo, rifiutante e accusatorio. E’ tutta colpa degli altri e le responsabilità personali non esistono. In realtà si sentono vittime e perseguitate e per difendersi da questa idea vittimizzano e accusano gli altri. Spesso si sentono imbrogliate, odiano e incolpano gli altri per le proprie disgrazie, negando di avere un problema personale.

Se ascoltano, lo fanno solo per capire le differenze con i punti di vista dell’altro e per scoprire la falla altrui in modo da poter imporre il loro modo di vedere le cose.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • sono giudicanti e accusatorie, rigide e estremiste
  • sono impazienti, competitive, invadenti, prevaricanti, aggressive, autoritarie
  • hanno grande stima di sé e non riconoscono i diritti altrui
  • hanno bisogno di relazionarsi con persone remissive, fragili e con bassa autostima

Io non sono OK – Tu sei OK (Depressiva)

Svaluto me stesso e  supervaluto l’altro ritenuto più forte e più potente. Dipendono dagli altri e sono inadeguate e incapaci di affrontare le situazioni.

A poco a poco il soggetto si ritira dalla relazione con gli altri, cade nella depressione e ritiene che la sua vita non valga molto. Se ascoltano è solo per compiacere.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • hanno scarsa autostima con atteggiamenti vittimistici e perdenti
  • non accettano complimenti o sollecitazioni positive
  • si sentono a disagio nelle relazioni
  • sono depresse, ansiose, autocritiche, sottomesse, scusanti, timorose, timide, silenziose, appartate

Io Non sono OK – Tu non sei OK  (Inutilità)

Svaluto me stesso e  l’altro. “Non si può fare niente”. Rassegnazione e depressione.

Percepite come disinteressate verso gli altri, chiuse, negative e pessimiste.

Le persone che sono in questa posizione hanno spesso alcune o molte delle seguenti caratteristiche:

  • hanno scarsa autostima
  • sono depresse e senza speranze, rassegnate all’infelicità
  • sentono che tutto è inutile
  • non assumono iniziative, scaricano problemi e difficoltà

Ogni persona ha una posizione esistenziale “preferita” e che sente sua sulla base di antiche decisioni di sopravvivenza; tuttavia è possibile che la stessa persona assuma posizioni diverse sulla base degli stimoli ambientali e dei momenti di vita. Inoltre, anche la posizione che preferiamo, e che probabilmente usiamo più spesso o sempre, può essere rivista sulla base di nuove esperienze, di nuove consapevolezze e di nuove relazioni.

I giochi e il copione

I giochi e il copione

Tutto il mondo è un palcoscenico e tutti, uomini e donne non sono che attori. Hanno le loro entrate e le loro uscite; ciascuno nella sua vita recita diverse parti. (William Shakespeare)

I giochi psicologici

games people play

Eric Berne definisce così il gioco: “Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”. Tradotto in parole ancora più semplici: Il gioco è un tipo di relazione interpersonale “disturbata”, che procura stati d’animo spiacevoli. Questa comunicazione “disturbata” non è volontaria e le persone coinvolte non ne hanno consapevolezza: per questo motivo lo stesso gioco tenderà a ripetersi più volte.

Perché le persone giocano? Quali sono i motivi per i quali si utilizza un modo relazionale di questo tipo? Si tratta del persistere di aspetti infantili (esperienze, decisioni di sopravvivenza) che permangono nell’adulto e che condizionano i comportamenti e le emozioni senza che se ne abbia coscienza.

Il copione di vita

a che gioco giochiamo

I nostri aspetti infantili ci portano ad organizzare un programma, un piano di vita in cui noi e gli altri hanno dei ruoli fissi compatibili con delle decisioni di sopravvivenza prese in epoche arcaiche. Come in tutte le storie, la storia della nostra vita ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, le sue eroine, i suoi cattivi, i suoi protagonisti e le sue comparse. Ha il suo tema principale e i suoi intrecci secondari. Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte d’ispirazione o banale.Il problema consiste nel fatto che gli inizi del nostro copione sono al di fuori della portata della nostra memoria cosciente.

In “Principi di terapia di gruppo” Berne ha definito il copione «un piano di vita inconscio». Successivamente in “Ciao!… E poi ?” ne ha dato una definizione più completa: «Un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva».

Cambiare è possibile

Cambiare è possibile

“[…] il terapeuta non guarisce nessuno. Egli però può aiutare la persona a rimettere in moto il proprio potenziale auto-curativo “

(Eric Berne 1966)

La teoria dell’AT è basata su un modello decisionale: i comportamenti non OK denotano strategie che conducono verso comportamenti psicopatologici disfunzionali. Queste strategie di vita vengono decise e intraprese fin da bambini. Ogni bambino apprende comportamenti specifici e decide per sé un piano di vita (il copione) che lo guiderà dall’infanzia fino all’età adulta. Seppure ogni bambino abbia capacità cognitive ed emotive limitate, così come un esame di realtà ridotto, e sebbene le sue decisioni siano influenzate dai genitori e dall’ambiente in cui egli vive, le decisioni e le strategie di copione rappresentano la modalità peculiare con cui quel bambino, e solo quello, ha creduto fosse possibile sopravvivere e ottenere quanto desiderava da un mondo che poteva sembrare, o che invece era davvero, ostile.

Il copione deciso nell’infanzia comporta una serie di modelli di comportamento che arrivano fino all’età adulta. Gli individui seguono tali modelli anche se gli stessi risultano essere controproducenti e persino dolorosi. Per tale ragione, da adulti è possibile imparare a leggere e conoscere tali decisioni prese nell’infanzia e sostituirle, ovvero cambiarle, con altre più adeguate.

Poichè ogni bambino ha deciso da sé il proprio piano di vita, egli ha il potere di cambiarlo, in qualsiasi momento e tanto più da adulto.

Per ottenere questo cambiamento non è sufficiente essere consapevoli di schemi e modelli di comportamento e quindi del copione di vita; è necessaria la decisione attiva e consapevole di cambiare questi schemi. Solo in questo modo, il cambiamento può essere reale e duraturo.

Il termine cambiamento è legato a quello di guarigione. Berne nel 1966 scriveva:

“[…] il terapeuta non guarisce nessuno. Egli però può aiutare la persona a rimettere in moto il proprio potenziale auto-curativo“. La così detta vis medicatrix naturae.

Egli utilizza la metafora dei “ranocchi e principi” per sottolineare che “guarire” significa togliersi la pelle di ranocchio e riprendere lo sviluppo interrotto di principe o di principessa e che il terapeuta deve agire per metter in moto il potenziale auto-curativo.

Sempre a proposito di guarigione, Berne sostiene che per guarire ed uscire quindi dal proprio copione è necessario recuperare la propria autonomiacosa che comporta tre importanti capacità proprie di ogni essere umano:

la consapevolezza, cioè la capacità di esser in contatto con il presente senza farsi condizionare dalle esperienze del passato;

la spontaneità, cioè la capacità di fronteggiare le situazioni potendo scegliere liberamente tra tutte le sensazioni, i pensieri e i comportamenti che ogni individuo può sentire, pensare ed agire senza costrizioni, utilizzando liberamente tutti e tre gli Stati dell’Io.

la capacità di intimità, cioè la capacità di condividere liberamente le emozioni, i pensieri e i comportamenti con un’altra persona. E’ l’intimità che permette alle persone di creare legami dando e ricevendo affetto.

Schiff e Schiff (1975), due autori molto importanti per l’ l’AT descrivono l’autonomia come il superamento della passività.

Un individuo autonomo è capace, attivamente, senza appoggiarsi ad altri ed utilizzando le capacità del proprio Stato dell’Io Adulto, di elaborare soluzioni ed intraprendere azioni volte al superamento di un problema.

Un individuo passivo, invece, secondo Schiff e Schiff, tende a svalutare e a distorcere parte della propria esperienza e a ricercare la causa delle proprie sofferenze, così come la soluzione ad esse, negli altri e nel destino.

L’origine di questa passività è da ricercare in relazioni simbiotiche non risolte. Nelle relazioni simbiotiche due persone dipendono l’una dall’altra e agiscono come se fossero un’unica persona, senza utilizzare tutti i propri Stati dell’Io.